Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film
Devo ammettere che quando, ad inizio film, ho visto il finto ragazzino col suo finto sorriso e la sua finta corsa nelle finte strade della finta Bagheria, spiccare il finto volo sulla falsariga di arcaici modelli richiamanti allusivi “ETmiracoloamilano”, mi sono detto: “e l’Italia porta ‘stà roba all’Oscar?!?”. E con queste premesse è divenuto subito arduo mettere da parte pregiudizi e storture di naso… oltretutto buona prima parte del film sproloquia e si frammentarizza nel tentativo, forse, di far posto a tutte le apparizioni possibili (anche di tre secondi l’una, a tal proposito mitica la Bellucci, che in un solo istante, espone quasi tutte le sue qualità di grande attrice) e citazioni a non finire ma circoscritte il più delle volte in fraseggi poco più (spesso anche poco meno) che macchiettistici, fini neanche a se medesesimi… ho trovato inoltre eccessiva la coltre politica che permea il film, certo dovuta all’attività del protagonista, ma che invia segnali radi e blandi, come al ritorno di Peppino dalla Russia, sibillinamente taciturno (“ho visto cose che voi umani…”) o come quando i compagni del figlio tacciano il padre di riformismo inconcludente, descrizione (magari) inconscia di quello che sarà il PCI fino ad Occhetto (e non che dopo siano migliorate troppo le cose… ); cosi come s’avverte superficialmente e quasi estranea la presenza mafiosa, disegnata a tratti folcloristici. C’è tutto un proliferare di brevi episodi accartocciati alla vita di Peppino e Mannina, anche quando la storia sembra concentrarsi sulla loro personale epopea - spesso slegati e fuori luogo, che vorrebbero fare da sponda a sogni, delusioni ed ambizioni molto in foggia lamegliogioventù -. E nuoce decisamente all’economia del film il ricorso convulso della comparsata e della scenetta reiterata ad ogni costo, come la ridicola performance di Placido in un episodio di sottoavanspettacolo; ma questo è lo stile di Tornatore, se lo vuoi vedere al nitido servizio della rappresentazione mettigli tra le mani un soggetto di altri (come Novecento di Baricco) e lui ne farà…leggenda. In Baarìa le capacità visionarie del regista danno il loro meglio, a mio avviso, solo nel finale, col bambino protagonista catapultato atemporalmente in una Bagheria convulsa e caciaresca, col fiabesco ritrovamento dell’orecchino fatto volare anni “dopo” alla figlia che vuole tenere botta al papà, oppure in rarefatte, ma delicate immagini, come gli istanti di refrigerio procurati a Mannina e figli, dallo sdraiarsi sul pavimento contro la torrida canicola. A margine del film, invece, lascia il tempo che trova, tutta la scia di polemiche innescate dal bovino ucciso in un macello tunisino (a sottolineare bieche superstizioni prenatali) quando, al contrario, nessuna voce si è levata a difesa della mosca rinchiusa viva nella trottola di legno per tutta la durata del film… (eh eh.. so proprio incorreggibile!..). Cito infine Billykwan, autore di un’esegesi spietata ma quanto mai lucida sul film, conclusa con un giudizioso: “forse Baarìa, oggi, è quello che ci meritiamo”. Non mancando di sottolineare anche il perspicace Fabio Ferzetti de Il Messaggero che in merito enuncia un condivisibile: “probabilmente dentro Baarìa c’è anche un bel film, basta cercarlo”. E sintetizzerei il tutto con un lapidario: “ci meritiamo di dover cercare un bel film in Baarìa, perché a vederli già fatti bene, i film, è decisamente troppo comodo…”. Nota finale: le stellette di FilmTv sono due per mediocre e tre per sufficiente, ma un intermezzo, chessò, a due stellette e mezzo per Baarìa non ci stava male… tipo: così così. In assenza di tale chance ufficializzo solo le due.
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