Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film
Un affresco opulento, ma tutt’altro che memorabile. A Tornatore è mancata una visione più generale delle cose (si perde infatti troppo nel bozzettismo). Manca insomma il vigore necessario per una rappresentazione che parla sì del comunismo ma in una maniera troppo sommaria (manca del tutto il relativismo storicizzato dell’ideologia corrispondente)
Non è un brutto film Baarìa, né men che meno mal realizzato (non sarebbe per altro possibile immaginare o dedurre una cosa del genere e non solo per le ingenti somme spese con magnanima disponibilità che poi si vedono tutte e sono ampiamente “evidenziate”, ma anche perché Tornatore “sa” come si tiene in mano la macchina da presa, è bravissimo a utilizzarla e muoverla, ed è un eccellente direttore di attori, così come riesce quasi sempre a costruire un pathos preparatorio per enfatizzare i momenti salienti che “devono” colpire il cuore. “Sa” insomma come si fa ad insinuare bellamente “che si sta facendo della poesia”, magari a bun mercato, ma sempre “liricamente espressa”, e questo è un merito che gli va riconosciuto e che non riguarda esclusivamente la tecnica cinematografica da utilizzare allo scopo, che domina con assoluta maestria).
Non è un brutto film Baarìa… posso confermarlo.
Ma allora cos’è che non funziona questa volta? che – almeno in me – non riesce a creare quella necessaria empatia partecipativa, e che mi lascia per questo “distrattamente” amorfo ad osservare dall’esterno qualcosa che mi appare troppo poco realistico (veritiero?) per interessarmi e coinvolgermi davvero? Semplicemente, non ha sostanza: è soprattutto furbo (una ben oliata e pianificata operazione di marketing strategico) e altrettanto “frettoloso” nonostante l’estenuante lunghezza… tutto fumo insomma (come si dice di solito) e poco arrosto, perché persino le ricostruzioni, gli ambienti - straordinari direi - di per sè “perfetti”, ma tutt’altro che autentici, almeno nella percezione, sembrano essere stati lucidati a nuovo per renderli gradevoli all’occhio, ma sono in effetti semplicemente la riproduzione laccata della miseria e del degrado… e non riescono davvero a rappresentare nemmeno alla lontana la Sicilia vera che vorrebbero documentare).
E poi si perde troppo nel bozzettismo (spesso gratuito) dei camei che ha voluto (o è stato costretto?) dedicare a troppi nomi “celebri “o presunti tali – si fa per dire ovviamente, perché di vere star se ne trovano poche in giro qui in Italia e sono inoltre spesso male utilizzate come qui, dove si vede proprio che ci si deve essere lambiccati il cervello per tentare di escogitare qualcosa da far fare a queste presenze un pò ingombranti, e soprattutto per trovare il “nesso” (mi riferisco alle macchiette – perché di questo si tratta in qualche caso, o poco più - affidate a un cast illustre e sottoutilizzato, alcuni solo per pochi secondi e che a volte fanno solo il verso a loro stessi, o peggio a ciò che dovrebbero rapresentare, chiaramente messi lì solo per fare da “cassa di risonanza”).
Dire che è deludente è poco (per me ovviamente, e non pretendo certo di fare opinione: posso solo cercare di esternare il mio disagio e le ragioni che lo rendono così profondamente insanabile).
Io parlerei allora di palese irritazione, perché spesso la dispersione alleggerente fa perdere di vista quello che dovrebbe essere il nocciolo centrale (o lo edulcora troppo) creando un senso di vuoto pneumatico delle idee… e quel finale “appiccicato” poi non sono proprio riuscito a digerirlo (Bellocchio aveva fatto di meglio con il suo Moro redivivo che si aggirava spaesato nella contemporaneità caotica della città nel suo discusso e discutibile Buongiorno notte), così come i troppi “ammiccamenti” dotti solo suggeriti, ma che sono ancora capaci, molto più delle parole spesso inutili, a mostrare l’abisso esistente fra “rappresentazione e realtà effettiva”… vedi fra tutte l’insistita ingombrante presenza dei manifesti dei “Tre fratelli” di Rosi che introducono una inquietudine molto più profonda (una riflessione critica persino) a chi conosce e apprezza quel film, di ciò che arriva adesso dall’ipotetico messaggio tutt’altro che revanscista, ma al contrario fortemente rinunciatario, lanciato da Tornatore tramite le parole conclusive del protagonista che mostrano davvero più rassegnazione (dismissione, direi) di quanto sarebbe necessario, visti i tempi: “Abbiamo un cattivo carattere, forse perché vorremmo abbracciare il mondo, ma abbiamo le braccia troppo corte” per altro senza proporre alcuna ipotesi possibile per tentare di allungarle per lo meno un poco quelle braccia, così da rendere finalmente praticabile l’utopia.
La Sicilia è insomma troppo “accomodata” e di maniera, si è più attenti a un folclore di facciata che annacqua ciò che dovrebbe essere invece sempre tenuto in primo piano, poiché persino la presenza della mafia è sottaciuta (i mafiosi sono pochissimi, e troppo innocui: con il mezzo sigaro o gli occhiali da sole, seduti al circolo dei maggiorenti paesani, sembrano essere semplici comparse e non protagonisti come sono stati e sono, e non basta certamente il pistolotto sulla montagna a rendere giustizia ai fatti e ai troppi morti) … per non parlare poi dei profili politici “scoloritamente revisionisti” o da burletta (insopportabile la reiterata macchietta degli assegni familiari)..
Quella sensazione latente - che gia i trailers lasciavano sottintendere - di un tendenziale addomesticamento anche delle ideologie più convergente verso la confezione televisiva delle cose (non bastano i carrelli, i dolly, i movimenti di macchina, la struttura tecnica del lavoro insomma a nobilitare il risultato: ne rendono semmai ancor più strindenti i contrasti) è ampiamente confermata e amplificata dalla visione completa della pellicola, che a me sembra che difetti proprio della mancanza di quel tocco magico che non si inventa, né si può riprodurre pigiando semplicemente un tasto, che costituiva per esempio il fascino profondo e l’emapatia coinvolgente di Nuovo cinema Paradiso (che è poi il parente più prossimo a cui si avvicina questo lavoro, almeno nelle intenzioni). Persino le “belle” scene di massa non hanno la consueta forza che dovrebbero avere, fanno fatica a uscire da uno stereotipo che non sia semplicemente iconografico (il Quarto stato di Pellizza da Volpedo è troppo spesso in agguato, ma senza quella carnale verità un po’ stracciona della vera miseria, che fa percepire la conseguente, rabbiosa voglia di riscatto che il quadro emana).
Se davvero Baarìa è il film della sua vita come ha spesso dichiarato, allora forse Tornatore è stato troppo indulgente con se stesso (o presuntuoso?) perché il suo sogno si è realizzato solo parzialmente (e sono generoso): non ha avuto la mano ferma e il controllo del racconto che doveva imporsi, fra un eccesso di aneddoti e altrettanta poca storia: troppe metafore, sovrabbondante simbolismo d’accatto… troppa voglia di fare spettacolo restando in superfice, di essere persino accattivante, con cadute spesso vicine alla “scenetta”, e battute di facilissima presa…. Si potrebbe definire in un certo senso, un film ipertrofico (come il commento musicale di Ennio Morricone: ben orchestrato e inappuntabile come al solito, anche se più di maniera del consueto… ma a mio avviso poco in sintonia con il tono solo parzialmente elegiaco dell’opera, molto di testa e povera di cuore - ed è proprio questa assenza che sorprende di più… perché c’è invece una “ricerca estenuante” nel tentare di far vedere che di cuore ce n’è e anche tanto - che in qualche parte stride, e si avverte per questo, che per palpitare davvero quelle note, avrebbero avuto bisogno di rapportarsi con la potente complessità di una vicenda più cattiva e coordinata, quella forza sporca che spesso Tornatore possiede (La sconosciuta ne è uno strepitoso esempio) e che qui invece latita troppo.
Non è un problema ideologico o di partito preso il mio, credetemi (non ho nulla di personale contro Tornatore, lo giuro) e speravo di ricredermi vedendo il film rispetto alle ipotesi tragiche che mi erano frullate in testa al semplice contatto delle “immagini promozionali”… Purtroppo però non è stato così e devo dirlo persino con rammarico: un‘occasione perduta forse per eccessiva “smania di grandezza”, e non è un problema di carenza di “volti” o di attori come qualcuno ha suggerito, che sembrerebbe a volte la causa principale che rende difficoltoso in Italia il lavoro di un regista, quella che mina dalla base la loro possibilità di risultare davvero grandi, perché qui paradossalmente sono proprio questi volti, quegli attori (non cito ovviamente le ridicole comparsate, ma coloro che sono impegnati nei ruoli che costiuiscono l’ossatura del film, quelli cioè che lo animano davvero) che funzionano di più, credibilmente veri e “reali” nonostante il contesto generale quasi “favolistico” nel senso di una realtà più colorata e meno problematica, molto analoga a quella che passa e viene rappresentata in televisione… Loro sono appropriati e bravi, perfettamente in parte… ma ovviamente non basta, come non basta qualche scena azzeccata, la bella fotografia, i magnifici costumi, il lavoro sul colore…
Peccato… peccato davvero.
Forse Tornatore è stato tradito proprio dalla voglia di imitare (di eguagliare) troppi illustri predecessori (non parliamo di Novecento per favore, ma nemmeno di Amarcord, anche se di Fellini ne ha tenuto conto, eccome!!!) . Gli è mancata per questo l’intelligenza dell’umiltà e una visione più generale delle cose, importantissima quando si affrontano tematiche di così largo respiro. Si parla infatti dei comunisti, ma il protagonista è poi soprattutto un onesto e dignitoso santino, una persona generosa e giusta, ma nient’altro che questo, e viene del tutto a mancare il relativismo storicizzato dell’ideologia corrispondente, assolutamente non banalizzabile, come invece qui a volte accade, poichè si è portati finanche ad ironizzarci sopra, né si riesce a capire cosa facessero (o intendessero fare) davvero allora i comunisti col loro entusiasmo, cosa rappresentassero, quanto era “fondante” una fede quasi religiosa nel partito, tutti elementi che fanno liquidare come improbabili – assurde per quei tempi – parole come quelle con la quale il protagonista risponde alla domanda del figlio al suo ritorno dal viaggio in Russia: “Ho visto cose terribili”.. così da far intendere, in largo anticipo sui tempi, che laggiù… ma qui allora forse il discorso si sposta sugli evidenti compromessi che ogni produzione di questo tipo, inattuabile in Italia senza l’apporto di colossi come Medusa, comportano inesorabilmente, e sarebbero persino il male minore se tutto il resto “funzionasse davvero”…
Basta, mi arrendo non ho molto altro da aggiungere. Sarà comunque sicuramente destinato a piacere, questo film ipercalorico, entusiasmerà indiscutibilmente le “masse”.. potrebbe davvero aspirare persino a un nuovo Oscar: per come è stato concepito, ha veramente tutte le carte in regola per tentare di percorrere con successo questa strada… anche se purtroppo – e mi ripeto - non riesce mai a emozionare davvero, a “far ridere e piangere allo stesso tempo” (ricette antiche che forse nessuno ricorda più ma che sono sempre validissime al cinema) come invece avrebbe voluto fare.
Io ovviamente sono più drastico, non mi trovo nella stessa sintonia di pensiero (ma una rondine non fa mai primavera, quindi non c’è da preoccuparsi). Mi viene comunque spontaneo chiosare in chiusura (magari con troppo poco rispetto, lo riconosco), visto che di Sicilia comunque si parla, citando proprio il titolo di una commedia di Pirandello che mi sembra particolarmente appropriato per l’occasione: “Ma non è una cosa seria”.
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