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Baarìa

Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su Baarìa

di giancarlo visitilli
6 stelle

L’interminabile corsa verso l’età adulta. Il racconto topografico della sua Bagheria (Baaria in dialetto siciliano, che significa “porta del vento”), che abbraccia tre generazioni: la sua, quella del Peppuccio Tornatore che poi sarebbe diventato uno dei più improntanti registi del cinema italiano con Nuovo cinema Paradiso, quindi quella della famiglia Torrenuova, che incrocia settant’anni di vicende. I bagheresi sono Mannina e Peppino, i loro padri e i loro figli, che vivono nel periodo della guerra e della liberazione dal fascismo. Durante il fascismo c’è anche spazio per i racconti cavallereschi del pastore Cicco Terranova, che di contro alle avversità di una vita povera e avara di bellezza, si abbandona al racconto della novità del cinema, che in quegli anni seppe offrire il meglio di sé. Poi ci sarà Peppino (interpretato dal poco noto Francesco Sciarra), che nell’immediato dopoguerra cercherà di mettere in atto i suoi ideali, utilizzando il comunismo come unico mezzo per cambiare le cose, e nel frattempo fare carriera politica. Sarà suo figlio Pietro (Gaetano Sciortino), invece, a lasciare un segno di frattura nella famiglia, abbandonando le antiche illusioni paterne e lasciando la Sicilia, tentando la carriera come fotografo.

Tornatore firma anche la sceneggiatura di un film che potremmo paragonare ad un album di figurine, nel quale attaccheremmo le immagini di tutti i suoi film, da Nuovo cinema Paradiso a Malena. L’eccessiva attesa attorno al kolossal italiano Medusa, i cui costi e i mezzi per realizzarlo hanno fatto parlare di questo film, da almeno due anni fa, non ripaga affatto dell’opera compiuta.

Non manca il Cinema, quello con la C maiuscola, fatto di movimenti di macchina sontuosi ed eleganti, ma anche di un retorico uso dei dolly, un montaggio e una fotografia dignitosissime, un po’ meno le musiche del ridondante Morricone, tutte a servizio di un regista appassionato ma che ormai da diversi anni ha smesso di appassionare. Forse l’ultimo suo bel film è La leggenda del pianista sull’oceano, che comunque risale al lontano ’98.

Senz’altro, la grossa pecca di questo film è l’aver concentrato troppa storia italiana e personale, cercando di utilizzare delle ellissi impossibili. Non ci si emoziona mai, piuttosto ci si stanca anche per l’eccessiva durata del film (due ore e mezza). Imperiale anche l’impresa di voler dare la cittadinanza di Bagheria a mezzo cinema italiano e un buon quarto della televisione nazionale: gli attori, o presunti tali, sono talmente tanti, ch’è impossibile poter far tacere in sala l’entusiasta signora che riconosce il suo “bravissimo Raoul Bova”, gli adolescenti e i loro “magnifici Ficarra e Picone”, gli uomini e “la breve durata della scena con Monica Bellucci”, e poi Nino Frassica, Leo Gullotta, Vincenzo Salemme, Beppe Fiorello, Luigi Lo Cascio e “quello de La Piovra” (mica de Il grande sogno), Michele Placido. Per tutto ciò, ma anche per la maggior parte dei dialoghi del film, si ride, anche quando c’è l’inutile tentativo da parte del regista di strappare le lacrime. Si sorride finanche sulle battute politiche: “I comunisti mi piacciono solo perché sono contro i mafiosi”, “Il re pubblico è chi cura gli affari di tutti”, “Riformista è chi vuol cambiare il mondo, senza tagliare la testa a nessuno”. Queste battute, se confrontate con la realtà della nostra ‘baaria’ italiana, farebbero piangere chiunque. Alla fine, quel che rimane è il lungo percorso compiuto non tanto dal piccolo protagonista della storia, ma dai grandi che nel film sono onnipresenti: Fellini, Visconti, Miller e Rosi. Il paradiso al cinema.

Giancarlo Visitilli

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