Regia di Fabrice Du Welz vedi scheda film
Due genitori perdono un figlio travolto nell’isola di Phuket dallo tsunami del 26 dicembre 2004. Credendo di riconoscerlo in un video amatoriale, la madre trascina il marito in una disperata ricerca attraverso gli scenari tropicali della Thailandia. Partita con toni drammatici e quasi intimisti, la vicenda si trasforma ben presto in un racconto avventuroso ed esotico, per sfociare in un finale gotico e al limite dell’horror. Film bello ma durissimo, che sulle prime mi aveva suscitato qualche perplessità (sembrava non dover succedere un gran che), “Vinyan” mi ha finalmente inchiodato allo schermo in virtù di alcune carte davero vincenti: l’interpretazione di Emmanuelle Béart, la fotografia e il crescendo dell’azione. Emmanuelle Béart non aveva ovviamente alcunché da dimostrare e aggiunge l’ennesimo gioiello alla sua ormai lunga collana di perle recitative. Certo è che non rinuncia a ruoli impegnativi, difficili, ingrati e coraggiosi, come in questo caso. Una madre affranta dal dolore, ossessionata dalla perdita del figlio, vittima che diventa violenta e crudele, che impazzisce trasformandosi, nella straziante scena finale, in una sorta di Madre di Tutti i Bambini. Anche la fotografia la fa da padrona. Ricorda immancabilmente i capolavori di Herzog (“Aguirre” e “Fitzcarraldo”), ma viene utilizzata in maniera diversa, non è cornice ma contenuto. A dispetto della bellezza dei paesaggi, diventa a tratti cupa, inquietante, talvolta algida in un ambiente che trasuda umidità e calore. E’ il primo film di Fabrice Du Welz che vedo e mi sembra che questo autore meriti di essere tenuto d’occhio.
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