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Vinyan

Regia di Fabrice Du Welz vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Vinyan

di maurizio73
6 stelle

Incubo ad occhi aperti in cui i conti in sospeso con la cattiva coscienza dell'uomo bianco si traducono nei miserevoli inganni di una cupidigia destinata a rimanere al verde e nel rigoglio vegetale di una natura matrigna pronta a fagocitare le spoglie mortali di un padre traditore attraverso le voraci fauci dei suoi figli senza padre.

Alla ricerca del figlioletto scomparso durante lo tsunami di sei mesi prima, una coppia di professionisti occidentali intraprende un angosciante e pericoloso viaggio tra le isole e la giungla thailandese. Mentre l'uomo cerca di assecondare le disperante ossessioni di una consorte ancora sconvolta dal recente lutto, quest'ultima sprofonda sempre più in un incubo ad occhi aperti fatto di visioni e oscuri presagi. Finale terrificante.

 

 

The bloody, sweet...Hereafter

 

Dopo l'esordio cristologico di un trovatore belga alle prese con la personale via crucis di una trasferta rurale e prima della folie-a-deux di una luna di miele di uxoricidi assortiti, il fiammingo Du Welz si ripropone nuovamente con una storia dove l'allegoria del viaggio e la ricerca dei demoni condivisi da una coppia in crisi, rappresentano la struttura narrativa e l'itinerario testuale attraverso cui scandagliare la tenebrosa ambivalenza della natura umana, sospesa tra la razionalità dell'ordine e delle convenzioni sociali e l'irrazionalità di un istinto primitivo che racchiude in sè il giano bifronte di un principio di creazione che sa essere anche fonte di morte e distruzione.
La metafora, anche geograficamente contigua, del cuore di tenebra dell'universo conradiano si traduce qui nella nemesi della ricca ed ipocrita società occidentale quale vittima accidentale di una tragedia turistica e complice consapevole di un disgustoso traffico dell'infanzia, traguardato nella discesa agli inferi di due coniugi bianchi alle prese con l'elaborazione del lutto ed un viaggio acheronteo nel mar di Andaman in cui si alternano in tutto due nocchieri, un (povero) diavolo tentatore ed una lasciva serva del demonio. Capace come pochi di contaminare lo studio psicologico di un rapporto a due scisso tra la razionalità dei compatimenti maschili e la inesorabile deriva di un istinto materno che gira a vuoto, l'esplicito simbolismo di una rivalsa metafisica e gli squarci onirici di un ingannevole richiamo filiale, Du Welz ci precipita in un incubo ad occhi aperti in cui i conti in sospeso con la cattiva coscienza dell'uomo bianco si traducono nei miserevoli inganni di una cupidigia destinata a rimanere al verde e nel rigoglio vegetale di una natura matrigna pronta a fagocitare le spoglie mortali di un padre traditore attraverso le voraci fauci dei suoi figli senza padre. Anche se irrisolto nei suoi molteplici sbocchi narrativi e volutamente ambiguo nel presentare le sue numerose tematiche, questo dramma psicologico in chiave horror è un potente saggio sulle suggestioni di un'arte cinematografica che sa coniugare con straordinaria maturità il realismo della messa in scena con le istanze insinuanti di un simbolismo esibito, passando dalla livida fotografia di un inferno tropicale agli squarci cromatici di un onirismo angoscioso intriso di una disperata sensualità e gravido di umori ferali.
Bellisima l'immagine della nave fantasma che trasporta le anime in pena di bambini perduti immersi nello spettrale chiarore di una bruma salmastra e quello del titanico rudere di una chiesa in disarmo su cui riafferma il suo dominio la tentacolare ramificazione di una natura selvaggia; ma straordinario e sconvolgente è soprattutto il finale dove, nel rovesciamento simbolico di figli che divorano il loro padre Saturno, si consuma l'orrido pasto, la tracotante vendetta dell'infanzia tradita. Arruffato e bovino, si impone la prestanza virile di un Rufus Sewell dagli occhi spiritati come pure la magnifica e sensuale presenza scenica di Emmanuelle Béart, ape regina che chiama a raccolta la sua progenie degenere sotto l'occhio abbacinante di un incombente bagliore zenitale. Presentato fuori concorso alla 65ª Mostra del cinema di Venezia e premiato al Sitges - Catalonian International Film Festival 2008.

 

Ridammi i miei soldi

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