Regia di Jonathan Levine vedi scheda film
Luke Shapiro (Josh Peck) è un adolescente senza uno straccio di amico che si guadagna (più di) qualcosa spacciando erba in giro per il suo quartiere di New York nel quale vive con due genitori in lite perenne e in una casa dalla quale stanno per essere sfrattati. Uno dei suoi clienti è il dottor Squires (Ben Kingsley), psicologo con la testa sulle nuvole sposato con l’algida Kristin (Famke Janssen) e con una figliastra, Stephanie (Olivia Thirbly), che è tra le più popolari della scuola. Luke non riceve soldi da Squires per la merce che gli fornisce: il dottore ricambia dedicandogli il suo tempo e affrontando con lui i problemi della giovinezza, primo fra tutti la ricerca di un’anima gemella. Che, guarda caso, potrebbe essere proprio Stephanie.
La cosa più inquietante di tutte che scaturisce durante la visione di Fa’ la cosa sbagliata per me, ventitreenne, è che è ambientato nel 1994 e sembra di vedere rappresentata un’epoca lontana secoli. Abiti larghissimi, pettinature sconcertanti, nessun cellulare ma solo il caro vecchio telefono fisso. Sono già così vecchio? In ogni caso, a ritmo di hip-hop Fa’ la cosa sbagliata parla di rapporti umani semplici ma disfunzionali, comuni ma speciali per ogni ragazzo che li vive. Il giovane Shapiro non è certo un campione dello sport o il più popolare del liceo, ne è consapevole e probabilmente neanche lo vorrebbe essere. Il suo microcosmo da spacciatore lo soddisfa e lo fa sentire “qualcuno”, anche se non può esserlo sotto i riflettori. Persone ben più adulte e navigate di lui lo portano in palmo di mano, e a lui questo basta. Certo, con una ragazza al suo fianco tutto sarebbe diverso… La relazione con la bella Stephanie, già sessualmente navigata a differenza di lui ancora vergine, gli aprirà il cuore e la mente per la prima volta, ma gli insegnerà anche cos’è la sofferenza. Squires invece, dall’alto, non può fare altro che constatare che la sua vita è stata un disastro, non ha creato nulla, ha tirato a campare come ogni persona comune qualsiasi. E a lui questo non può proprio andare giù, ed è forse anche per questo che vede in Shapiro la sua seconda possibilità.
Il quarto film di Jonathan Levine (i precedenti sono davvero persi per strada) è un comedy drama metropolitano come molti altri, che punta sui personaggi mascherando, forse, la mancanza di vere cose da dire. L’epoca scelta, quella dello spopolamento dell’hip-hop e di un Rudy Giuliani sindaco-sceriffo sbeffeggiato da tutta la città, è sicuramente onorevole, ma la sceneggiatura non brilla troppo né per spigliatezza delle battute né per argomentazioni, dando vita ad un film onesto, caruccio, ma lento e prevedibile. Ben Kingsley ci mette la classe (anche se per questo ruolo è stato candidato al Razzie Award come peggior attore non protagonista, cosa discutibile), mentre il film ha vinto il premio del pubblico al Sundance Film Festival dello scorso anno.
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