Regia di Chris Carter vedi scheda film
Tutti gli spettatori della serie tv avrebbero voluto credere di poter vedere un bel film tratto dalla saga decennale delle avventure paranormali di Mulder e Scully, soprattutto se firmato dallo stesso creatore di X Files. Eppure il secondo film, estraneo al flusso narrativo seriale (il primo era invece un ponte tra due stagioni), ormai conclusosi, sconcerta. Sciatto nella tensione del racconto, solo marginalmente in sintonia con le tematiche a cui ci avevano abituato i due agenti dell’Fbi, il film si concentra soprattutto sulle vicende amorose dei due colleghi, sul rapporto non facile per le divergenze caratteriali, sulla dolorosa assenza del figlio, sull’ipotesi di una convivenza finalmente lontana dall’oscurità di forze incomprensibili, aliene o dai complotti governativi. Muder e Scully si amano a distanza; rimasti in contatto, lei si dedica alla professione medica, mentre lui permane ossessionato da un passato non ancora sepolto. Richiamati ufficiosamente in servizio per uno strano caso di omicidi seriali legati a percezioni extrasensoriali, devono affrontare il passato ben più che il presente dell’indagine, turbati da verità personali dissimulate o represse, da angosce esistenziali, dall’affetto assopito dalla lontananza.
Girato in lande innevate dove il nero della notte si scontra con il bianco della neve gelata, il film si aggira nel grigio dei sentimenti dei protagonisti, tentando di dar loro vita e colore, provando a suggerire una conclusione alle loro vicende in una parvenza di normalità non aliena da incursioni psicanalitiche, dialoghi che, rimandando alla serie, ne fanno riaffiorare catarticamente i traumi per affrontarne una soluzione.
Muovendosi in un terreno minato da pedofilia, etica e morale religiosa, Carter affronta temi scottanti, alternando l’ironia di Mulder al tormento di Scully si concede beffarde similitudini tra Bush jr e il paranoico direttore dell’Fbi Hoover, e porta a conclusione l’indagine, come in una puntata dilatata della serie, richiamando in servizio anche Skinner a dare man forte ai due prediletti.
Ma il centro di ogni interesse rimane il rapporto tra i due ex-agenti, quel bacio sospirato per tutte le stagioni di un’intesa discordante che si è trasformata in amore sincero. Il film, in fondo, racconta di un matrimonio in crisi, sebbene mai celebrato, di una coppia legata e lontana, tormentata ma ancora innamorata, portando in primo piano il pudico melò carsico che innervava tutte la serie, nascosto dal predominante ingrediente fantastico e fantascientifico. E Carter regala ai suoi personaggi un meritato lieto fine, nascosto tra le pieghe dei titoli di coda. Un discutibile montaggio musicale di immagini naturali sposta la scena, a vicenda terminata, dal gelo invernale al caldo tropicale, verso un placido mare solcato da una barca in cui i due protagonisti si concedono l’intimità e la parvenza di felicità che si erano sempre colpevolmente negati. Guardando in alto, salutano la macchina da presa (già vista un attimo prima riflessa sull’acqua) e si congedano dalla narrazione e dalle vesti dei loro personaggi, ormai indirizzati verso un diverso destino. Denunciano la finzione e se ne separano, assieme alle restrizioni seriali di una codifica comportamentale reiterata e ormai lisa, si abbandonano al futuro e all’infinito campo delle sue possibilità. I personaggi e i loro attori si sono liberati e, con quel gesto, affrancano gli stessi spettatori da qualsiasi ulteriore aspettativa. Non tutti i nodi narrativi sono stati sciolti (il figlio, la sorella, il rapporto stesso), ma la vacanza sembra ormai definitiva. Resta agli spettatori, lontani, a guardare Fox e Dana da un elicottero spia o da un ufo o attraverso una semplice cinepresa, scegliere se rimanere o andare oltre, se continuare a credere o lasciare la barca libera di salpare verso la sua vaga destinazione.
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