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Rogue

Regia di Greg McLean vedi scheda film

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alan smithee

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Rogue

di alan smithee
7 stelle

locandina

Rogue (2007): locandina

 

Quante decine e decine di film horror incentrate su coccodrilli ed alligatori avremo visto, nel corso dell'ultimo trentennio? Un po' a caso e a memoria citerei innanzi tutto Quel motel vicino alla palude, del mito-horror-director Tobe Hooper; o Alligator del 1980, dove la bestiaccia da un innocuo acquario casalingo si insediava tramite il cesso nelle fogne di New York, nutrendosi di monnezza radioattiva che lo faceva crescere a dismisura (da una sceneggiatura forse “alimentare”, ma di fatto piuttosto efficace di John Sayles).

Ma pure l'italiano Il fiume del grande caimano, di Sergio De Martino a fine Settanta, epoca in cui il prolifico regista si distingueva qualitativamente più col genere catastrofico-horror alternando Barbara Bach e Ursula Andress, che con le commedie scollacciate Fenech/Banfi.

O più di recente il buon Lake Placid del “padre” di Venerdi 13 Steve Miner, forte di ben tre seguiti televisivi e con un incipit spettacolare in cui il bestione maligno si fagocita una placida mucca al pascolo tutta intera tra i prati placidi ed apparentemente placidi del Maine.

Questo Rogue - (alla lettera “furfante, birbante” come se si potesse ironicamente definire tale il mostro preistorico che semina il panico lungo tutta la concitata ed adrenalinica pellicola), dell'australiano celebratissimo e padre di quel gioiellino che è Wolf Creek e del suo recente più che dignitoso seguito - sembrava pertanto arrivare troppo in ritardo nel voler confezionare una nuova terrificante epopea con al centro il micidiale rettile.

Eppure l'abilità del cineasta nel riuscire a rendere i misteri abbaglianti e nello stesso tempo inquietanti della terra più vecchia del mondo, l'abilità nel dipingere un microcosmo che è un concentrato di opportunismo e sopraffazione che si crea ogni qualvolta l'emergenza rende vitale agire per sopravvivere sugli altri – quindi in senso lato un panorama che rispecchia anche l'abbruttimento ed il cinismo della vita quotidiana – rendono il film un horror maturo e piacevole, che si fa perdonare molte implausibilità che, specie nel finale, abbondano non senza un pizzico di ironia.

Attori a quei tempi in odore di divismo (la Mitchell in effetti ha fatto la sua brava carriera e ancora oggi è “lanciatina”, Michel Vartan provava a diventare star, ed un certo fondo di carisma forse non gli mancava davvero), astri nascenti come Worthington, teppista con sprazzi di eroismo che lo conducono molto presto sulla strada del sacrificio.

Un'Australia forse da cartolina, ma di una meraviglia abbacinante che fa da controcampo alla mostruosità della bestia, la cui prese za scenica viene saggiamente dosata fino al finale impossibile e splatter dentro la tana.

E ancora una ragazzina che è la copia identica di Mia Wasikowska, e soprattutto, nei panni decisamente più umani e sentimentalmente più ispirati del vedovo un po' vigliacco che riesce a riscattarsi, troviamo, con una certa soddisfazione, l'attore feticcio del regista Greg McLean, ovvero il John Jarratt che dà il volto (e muove gli uncini e i fucili) allo psicopatico, irresistibile e irrefrenabile cow boy Mick Taylor dei due cult che sono ormai Wolf Creek 1 e 2.

 

 

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