Regia di Lee Unkrich vedi scheda film
Quando il Giorno incontra la Notte... prima che inizi Toy Story 3. È infatti tradizione Pixar introdurre i propri lungometraggi con un corto d’animazione che faccia storia a sé. Dopo quelli già eccezionali dei pennuti sul filo della luce, o del piccolo alieno chiamato a pilotare un’enorme astronave, questa volta John Lasseter e soci si superano con un piccolo cartone animato dove la Notte e il Giorno, semplici variabili grafiche essenziali come la Linea di Cavandoli, si incontrano. In sottofondo, una soave riflessione sulle “dimensionalità” della new animation, preludio al gioco, ai giochi, del terzo capitolo in 3D delle avventure di Woody e Buzz. Piccolo miracolo di scrittura, Toy Story 3 procede nell’epopea dei giocattoli di nuova e vecchia generazione, uniche “creature” a subire la crescita di chi li possiede, vale a dire i bambini. Questi diventano grandi, vanno al college, e ai balocchi non resta che la soffitta oppure l’asilo, in balia di altre mani, altri occhi... I toys che abbiamo amato negli altri due film finiscono in una scuola materna che sembra un lager, dove si aggirano affarini inquietanti come un bambolotto che pare un reperto di Profondo rosso (dove si vedeva impiccato) o come un orsetto rosa che vi raccomandiamo... Al buon Woody, novello Steve McQueen (del resto è un cowboy) non rimane che organizzare la “grande fuga”, sua e degli amici. Come spesso capita ai sequel, si lavora di accumulo rispetto al prototipo: più gag, più situazioni e soprattutto più personaggi. Qui, oltre ai classici (Mr. e Mrs. Potato, Rex, Jessie, mentre sono quasi scomparsi i nostri adorati “soldatini”) si aggiungono una specie di gormita (Chunk), una specie di tartaruga ninja (Twitch) e finalmente Ken, che si innamora di Barbie sfatando la vox populi che da mezzo secolo lo descrive come gay. Il divertimento è assicurato: per i grandi, perché sotto sotto l’asilo maledetto riproduce il loro mondo contingentato e assurdo; e per i piccini, travolti dal ritmo dell’azione. Chapeau alla Pixar, una volta di più.
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