Regia di Lee Unkrich vedi scheda film
Mi sono fatto fregare ancora. Ho inforcato gli occhialini e l’ho visto nello strombazzato 3D. Sempre di più il cinema sta diventando un veicolo promozionale di tecnologia . Peggio, sta convincendo i piccoli utenti, poiché la maggior parte dei film prodotti in tre dimensioni sono diretti alla gioventù più acerba, che per assistere ad uno spettacolo emozionante sia assolutamente indispensabile ritrovarsi piccoli alieni brancolanti nell’aere e spaesati (non sarebbero alieni) per casa, farfalle svolazzanti, animaletti multicolori colanti dallo schermo. Quando va bene.
O ritrovarsi nel traffico di una partita di calcio con i giocatori che si menano sul divano, protagonisti non attivi di notturni film per adulti che distraggano dalla routine coniugale o nel bel mezzo di una sparatoria di un film d’azione per provare il brivido della pioggia di proiettili senza bagnarsi punto. Ovviamente tutto questo dedicato ai papà, che pagano la tecnologia 3D ad uso casalingo che l’industria dell’intrattenimento vorrebbe spacciare per indispensabile attraverso la magia del cinema.
Cosa c’entra tutto questo con “Toy Story 3”? C’entra eccome perché il film è straordinario di suo, per regia invenzioni visive, storia e contenuti e tutto ciò col 3D nulla ha a che fare, poco dopo l’inizio del film ci si dimentica di avere gli occhialini e la visione scorre via senza nessun effetto mirabolante, senza qualità visive strabilianti. Inutile l’artificio meccanico quando si è già di fronte a qualcosa di speciale. E semplice soprattutto, poiché è nella semplicità che l’animo dei bambini (o dei diversamente adulti accompagnatori) si accorda alla fabula.
“Toy Story 3” ha in sé la magia del linguaggio cinematografico applicata senza alcuna pruderie ad un genere da sempre considerato “per bambini” ma che la Pixar, inanellando pellicole del calibro di “Monster &Co”, “Gli Incredibili”, “UP”, i precedenti capitoli di “Toy Story” e soprattutto il capolavoro assoluto del cinema d’animazione “WALL-E”, sta rifondando riscrivendone le regole. Il film di animazione sempre di più viene assimilato alla nobiltà del film reali, anzi vista la recente virata digitale del cinema d’intrattenimento moderno, dall’estetica e dal ritmo furibondo mutuato dei videoclip, direi che in tanti casi quella nobiltà l’abbia già doppiata con spensieratezza.
Dietro questo successo c’è il genio indiscusso di John Lasseter, regista e produttore, vero maître à penser della Pixar (anche se in Toy Story 3 ha lasciato la regia a Lee Unkrich) che ha imposto la sua ricetta per il successo fondendo personaggi stratificati e credibili, ritmo, citazionismo, umorismo e una morale mai banale sempre tenuta in equilibrio sull’orlo della retorica.
Toy Story 3 (D..uffa..) è la storia dei giocattoli di Andy, ragazzino diciassettenne prossimo al college, destinati al pensionamento in soffitta che per errore finiscono in un paese dei balocchi, un asilo, che si rivelerà come tutti i paesi dei balocchi un luogo di ambigua malvagità. Woody il cowboy, Buzz l’eroe dello spazio e la combriccola di amici dovranno vedersela con un orso tenerone fuori, spietato dentro e la sua banda di giocattoli dominatori.
La genialità di “Toy Story” sta nel ricreare un mondo “altro” invisibile agli umani, un mondo privato nel quale i giocattoli prendono vita organizzandosi autonomamente per assolvere alla funzione per la quale sono stati creati: fare giocare i bambini, donare gioia e fantasia attraverso le loro caratteristiche. Mai e poi mai un giocattolo si mostrerà vivo e pensante al padrone-bimbo, piuttosto si arrenderà alla spazzatura e alla fine ingloriosa del proprio ciclo vitale nel camion dell’immondizia. Così i personaggi-giocattoli acquistano sullo schermo la vitalità mutuata dalla fantasia dei bambini ma risultano simpatici e accettabili anche dal pubblico adulto per il quale ricalcano le consapevolezze dell’età della maturità e replicando nelle loro avventure gli stilemi delle pellicole d’azione, di spionaggio e thriller, agganciano la sospensione dell’incredulità ad un immaginario cinematografico già consolidato.
Un trucco, ovvio, una ricetta, una furbata ma maledettamente divertente e così sfacciatamente dichiarata da restarne affascinati. Si ride molto, Barbie e Ken danno vita a duetti memorabili giocando sui rispettivi modelli estetici; Bimbo (un Cicciobello menomato ad un occhio) replica i giganti ritardati e infantiloidi di vari film dell’orrore; la fuga in massa dall’asilo- lager assume una connotazione epica in cui l’unione delle caratteristiche di ogni personaggio risulta utile per conseguire l’obiettivo finale. La condivisione delle diversità e il senso di appartenenza è il messaggio latente che permea la storia di “Toy Story 3”, la trama solida sulla quale poggia tutto la leggerezza della stupefacente messa in scena.
Ma alla fine ci si commuove anche , di una commozione sincera che prende un po’ alla gola quando si ripensa a tutto l’investimento emotivo che si è riversato sui giocattoli preferiti e alla loro anima pura sacrificata in qualche sacco della spazzatura quando l’età reclamava altri balocchi meno innocenti. Aspetto un po’ ricattatorio in effetti ma funzionale alla chiusura del film, così anche in questo caso ci si abbandona ad esso con cuore fanciullo.
Un consiglio: si raccomanda di entrare al cinema in orario per ammirare il cortometraggio animato che anticipa il film, come da tradizione Pixar. Quando il giorno incontra la notte è un piccolo capolavoro di poesia e creatività di semplicità disarmante che da solo vale il prezzo del biglietto.
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