Regia di Gianfranco Albano vedi scheda film
Negli anni Sessanta una modesta coppia siciliana ha un figlio che, per gravissime incompetenze ed errori del personale medico, nasce spastico e tetraplegico. Fulvio crescerà con l'amore e l'ostinazione della madre, vivendo in carrozzella e quasi non riuscendo a esprimersi, ma mostrando fin da bambino facoltà superiori alla norma nel campo delle scienze. Diventerà un fisico di fama mondiale.
La storia dello "Stephen Hawking italiano", il fisico Fulvio Frisone, meritava di essere portata sullo schermo: è una vicenda esemplare, una parabola sull'amore materno che vince ogni pregiudizio, sulla necessità di non arrendersi mai di fronte alla disperazione, sulle immense potenzialità racchiuse in ciascuno di noi. E sulla dignità offesa di chi, già per natura, soffre, condannato a un corpo che non gli permette di esprimersi (fisicamente, verbalmente) in maniera 'normale'. Purtroppo, però, va anche detto che una fiction di qualità mediocre come questa non è decisamente il modo migliore per parlare di Frisone e lanciare il suo messaggio esemplare al pubblico. Gianfranco Albano lavora per la tv da ormai un quarto di secolo; onesto mestierante, non fa grossi danni, ma confeziona un prodottino insipido all'ennesima potenza, con tutti i crismi della fiction catodica espressamente creata per intrattenere il più vasto pubblico casalingo. I veri punti di forza dell'operazione sono pertanto le interpretazioni di Lunetta Savino (la madre, forse in certi punti un po' troppo 'teatrale') e soprattutto del protagonista centrale Paolo Briguglia; anche il fatto che la vera madre, Lucia Colletta Frisone, abbia collaborato alla sceneggiatura di Paola Pascolini e Mauro Caporiccio è un fattore positivo, che aumenta l'attendibilità dei contenuti del lavoro. 4/10.
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