Regia di Joe Johnston vedi scheda film
Un sottogenere del fantasy-horror è quello che porta sul grande schermo vicende di lupi mannari, gli uomini-lupo per capirci, di cui la storia del cinema è davvero satura. In genere hanno bravi cristi come protagonisti, miti, onesti, i quali, magari, tentano perfino di aiutare qualcuno già afflitto da licantropia, ma poi finiscono loro stessi per restare vittime dei famigerati 'proiettili d'argento', unica arma – leggenda vuole - a poterli spedire all'altro mondo.
Il destino del buon Lawrence Talbot (un appassito Benicio Del Toro, premio Oscar per il memorabile Traffic nel 2001) non si discosta per nulla dalla suddetta formula e, di conseguenza, questo Wolfman del regista Joe Johnston - quello che a fine anni Ottanta del Novecento esplose con Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi - non è niente di più di un ennesimo remake, i cui spunti di presunta originalità, non sono sviluppati con sufficiente ispirazione, da farne un unicum nel suo, appunto, affollato sottogenere. Per intenderci, resta ben al di sotto del mitico antecedente del 1981, Un lupo mannaro americano a Londra (diretto da un grande come John Landis) che, con effetti speciali assai più acerbi, riuscì a colpirci per il realismo della messa in scena e l’empatia che creava con lo sfortunato protagonista. Così come una sufficienza non fatico ad assegnarla a un altro lupo mannaro visto da me sul grande schermo (seppure anche quello un po’ deludente), Wolf - La belva è fuori, diretto da un altro cineasta di notevole spessore, Mike Nichols e con un cast stellare che metteva in campo Jack Nicholson, Michelle Pfeiffer, James Spader e il grande Christopher Plummer.
Qui qualche interprete di alto lignaggio lo troviamo: oltre al citato Del Toro, il solitamente infallibile Anthony Hopkins (I due papi nel 2019) che però nei panni del padre burbero e infido non riesce a creare il solito appeal nello spettatore e la per me bellissima Emily Blunt (Il ritorno di Mary Poppins nel 2018), impantanata nella parte di una cognata-vedova eccessivamente funerea nel porsi ma pronta - fin troppo presto - a farsi consolare dal fratellone del marito squartato proprio dalle fauci del wolfman di turno.
Nessuna battuta degna di ricordo, nessun momento sdrammatizzante. L’opera di Johnston si prende davvero troppo sul serio e finisce per risultare solo piatta e un po’ triste. Effetti speciali di alto livello e una confezione comunque raffinata, non bastano a far chiudere un occhio sull’insoddisfazione finale. Peccato. Voto 5,9.
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