Regia di Zhang Yimou vedi scheda film
26° FAR EAST FILM FESTIVAL DI UDINE (2024) - FUORI CONCORSO - CAPOLAVORI RESTAURATI
Le proiezioni delle versioni restaurate di Lanterne Rosse e Vivere! hanno segnato il sentito omaggio del FEFF 2024 al maestro Zhang Yimou, al quale la ventiseiesima edizione del Festival di Udine ha tributato il Gelso d'oro alla carriera. Soprattutto il grande capolavoro del 1991, denuncia della condizione femminile, il primo film a proiettare il cinema cinese al successo internazionale, è a mio parere il vertice dell'opera di questo grande regista.
Nella Cina degli anni 1920 (ma sembra un mondo arcaico) Songlian (Gong Li) è una studentessa universitaria che accetta di diventare la quarta e più giovane moglie di un ricco nobile. La residenza del marito è un grande castello dove ciascuna delle mogli dispone di una propria casa e una cameriera personale. Tra le varie consorti, il marito sceglie ogni notte con chi accompagnarsi e la più fresca e recente occupa ovviamente molto più spesso il ruolo di favorita, scandito da rigide formalità e rituali arcaici, come il massaggio ai piedi con un martelletto e l'esposizione di lanterne rosse all'esterno della casa muliebre dove il signore si reca a passare la notte (“appendete in alto la grande lanterna rossa” è la traduzione del titolo originale).
Ognuna delle spose vive nel lusso dei suoi appartamenti, viziata e accudita dalla servitù, ma la sua esistenza deve essere completamente dedicata al servizio del marito e al concepimento di un erede. Il palazzo si rivela poi un vero e proprio covo di serpi, con le mogli impegnate in una continua e sotterranea lotta per il ruolo di momentanea prediletta del marito-signore, utilizzando ogni mezzo, tra finte malattie, finte gravidanze, canti mattinieri disturbatori, intrighi e dispetti di vario tipo. Soltanto la prima consorte, considerata ormai anziana (in realtà coetanea del marito), è ormai fuori dalla contesa occupando piuttosto un ruolo di matriarca dall'alto della sua esperienza. Tra seconda, terza e quarta signora è guerra per l'attenzione sessuale dell'uomo, tra gelosie, risentimenti, ripicche, senso di inferiorità di chi non è stata in grado di generare un erede maschio, ricerca di evasioni impossibili e rischiose in un sistema dove la trasgressione di determinate norme può portare alle più ferali conseguenze.
Songlian deve anche fronteggiare il malanimo della sua serva, gelosa della padrona perché viene lei stessa sessualmente concupita dal signore e vanamente sperava di poter assurgere al ruolo di moglie.
I rapporti umani sono pertanto improntati all'ipocrisia e alla menzogna continua, in cui nulla è come appare in superficie : l'ostilità della terza moglie, un ex soprano che era la più giovane e quindi la preferita fino all'arrivo di Songlian, e la gentile affabilità della seconda si svelano poi nel corso dell'opera maschere che celano sentimenti opposti. Tutte per convenienza e sopravvivenza recitano un ruolo e infatti l'ex cantante dice che tutto è rappresentazione: se si recita bene, si ingannano gli altri, se si recita male, inganniamo noi stessi e ci riduciamo a fantasmi.
Nonostante le condizioni di privilegio economico e sociale in cui vivono, queste donne sono certamente vittime di un sistema che pone al vertice il marito-padrone, di cui le mogli sono subalterne, strumento di diletto e soprattutto di riproduzione, rinchiuse in una sorta di prigione dorata che soffoca la loro libertà e la loro stessa personalità. Il marito ad un certo punto fa sottrarre e bruciare il flauto della quarta moglie, dono del defunto padre, e si giustifica dicendo che non voleva che la distraesse, quando in realtà queste donne non hanno nulla da fare tutto il giorno. “Lasciami essere una concubina. Non è questo il destino di una donna?” è la risposta che una evidentemente già rassegnata Songlian fornisce alle domande della madre nella prima scena. Invece della solidarietà femminile per aiutarsi a sopravvivere, quel sistema oppressivo favorisce la rivalità di tutte contro tutte e i giochi di potere per ottenere a scapito delle altre quei piccoli e spesso insignificanti privilegi (decidere il menu dei pasti) di cui le lanterne rosse costituiscono il simbolo. La protagonista, intelligente e istruita, soffoca e prova l'impulso di ribellarsi all'assurdo destino, ma per non soccombere, dovrà imparare ad adattarsi e a combattere questa feroce lotta e, quando serve, utilizzare i privilegi che il sistema le concede, ad esempio nei confronti della servetta, fino a diventare lei stessa complice e carnefice (involontaria? un dubbio rimane) di una collega-rivale. Perché da questa prigione una donna non può fuggire, se non con la morte o la follia.
Zhang Yimou, che ha iniziato la sua carriera come direttore della fotografia, adotta per raccontare questa storia di prevaricazione e annientamento uno stile ricchissimo dal punto vista estetico ma anche estremamente rigoroso: i colori vividi e sgargianti, le geometrie del palazzo signorile, con i suoi cortili rettangolari, i tetti ondulati, le simmetrie sempre ricercate nella costruzione dell'inquadratura. La ripresa più ricorrente guarda dall'alto verso il cortile centrale, con le case delle mogli disposte sui lati e i personaggi che lo attraversano: con il passare delle stagioni, il cortile è imbiancato di neve o bagnato dalla pioggia o invaso dalla luce del sole. Quando la protagonista vaga sui tetti, le loro volute sembrano onde di un mare in tempesta che incombono minacciose sulla sua figura minuta. Il regista alterna sapientemente i campi lunghi sulle architetture e i tetti con i primi piani della protagonista e delle altre donne (mai del padrone, sempre ripreso da distante).
L'ossessiva ripetitività dei rituali arcaici e delle situazioni all'interno della clausura dei cortili trasmettono la sensazione claustrofobica di prigionia dorata ma soffocante in cui le protagoniste si trovano segregate, isolate dal mondo esterno: l'azione non si svolge in altri luoghi a parte il grande palazzo, solo la prima inquadratura è altrove, ma è un primo piano di Gong Li in cui neppure vediamo dove si trovi. Lo sfarzo dell'ambientazione scenografica rivela progressivamente una realtà di orrore, di schiavitù e di morte, dominata dalla misteriosa stanza sul tetto, dove nelle generazioni passate sono avvenuti fatti inenarrabili e pronta a riaprirsi all'uso di fronte ad una grave trasgressione all'ordine costituito.
Concorrono all'effetto le musiche tradizionali ,anche queste spesso ripetitive e ipnotiche al punto di lasciare frastornati.
Dove l'arte di Zhang Yimou e del direttore della fotografia Zhao Fei raggiunge il sublime è nello straordinario l'uso espressivo dei colori , ovviamente in primis il rosso sgargiante delle vesti e delle lanterne, in splendido contrasto cromatico con il grigio dei tetti, con il candore della neve o con il blu scuro della notte.
Una messa in scena raffinata e implacabile, in cui uno stile apparentemente raggelato e distaccato (la scoperta dell'omicidio avvenuto nella stanzina sul tetto ripresa da distante) veicola tutta la devastante potenza emotiva di un melodramma fiammeggiante.
Il ritmo compassato è calcolato per far emergere a poco a poco il sottostato di bassezza e crudeltà, in un film dove l'introspezione psicologica è resa con una raffinatezza al contempo precisa e ambigua, lasciando lo spettatore ad interrogarsi sui possibili molteplici livelli di lettura di ogni personaggio, che cela segreti , strategie e obiettivi occulti.
Gong Li, su cui il compagno regista costruisce l'intero film fin dalla prima inquadratura, eterea e magnetica incarna uno dei più significativi ritratti di donna della storia del cinema: la sua resa della spirale discendente di Songlian è straziante, mentre assistiamo al progressivo deterioramento della sua personalità e infine della sua sanità mentale.
Lanterne Rosse venne inizialmente vietato in Cina: pur essendo ambientato in un'epoca precedente all'avvento comunismo ed essendo ad una prima lettura una condanna delle antiche tradizioni feudali, il suo messaggio di denuncia dell'autoritarismo, della repressione e della perdita di autonomia individuale era visto come pericolosamente destabilizzante per il regime.
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