Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
"In 'Guerra e pace' Tolstoj dice che, secondo la scienza militare, quanti più uomini ha un esercito, tanto maggiore sarà la sua forza. Ma questa stessa scienza riconosce, anche se molto vagamente, che durante un'azione militare la forza di un esercito è anche il prodotto della sua massa moltiplicata per un'incognita, un fattore imponderabile. Questa 'ics' non è altro che lo spirito delle sue truppe e il loro maggiore o minore desiderio di combattere e affrontare il pericolo. E gli uomini che hanno maggiore desiderio di combattere e che capiscono perchè lo stanno facendo, indipendentemente da chi stanno affrontando o se sono all'ordine di militari geniali o di persone normali, o se combattono con dei bastoni o con fucili da 30 colpi al minuto, questi uomini si troveranno sempre nelle condizioni più vantaggiose. E vinceranno.".
[parole di Ernesto Che Guevara, affidate ad un monumentale Benicio Del Toro]
Dalla Sierra Maestra fino a Santa Clara e L'Avana, i ribelli guidati dal medico argentino Ernesto Guevara de la Serna (Benicio Del Toro) e dal giovane avvocato cubano Fidel Alejandro Castro Ruz (Demiàn Bichir) attraversano l'isola di Cuba per rovesciare il regime del dittatore Fulgencio Batista:
"Fidel era assolutamente convinto che, una volta partiti per Cuba, ci saremmo arrivati e, una volta arrivati, avremmo combattuto e, combattendo, avremmo vinto. Così, nel novembre del 1956, partimmo dal Messico su un barcone che faceva acqua con 82 uomini a bordo: di quegli 82 solo in 12 avremmo visto il giorno della vittoria".
Il racconto dell'impresa dei suoi "barbudos" è affidato alla voce fuori campo del Che, intervistato da una giornalista americana a L'Avana nel maggio del 1964, sulla cui prima domanda all'eroe argentino, rimasta senza risposta (anche se nella suggestiva inquadratura che gli incornicia il volto dal basso verso l'alto si intravede un sorriso appena abbozzato), si apre il film:
"Supponiamo che i recenti sforzi degli Stati Uniti per aiutare i Paesi dell'America Latina abbiano successo, che le classi dirigenti accettino le riforme terriere e le riforme fiscali, che migliori lo standard generale di vita, il messaggio della rivoluzione cubana non perderebbe di forza?".
In questa prima parte del suo dittico sul Che, Soderbergh, insieme allo sceneggiatore Peter Buchman (dal curriculum non esaltante: Jurassic Park III e Eragon i suoi precedenti script), parte dal fondamentale Passaggi della guerra rivoluzionaria (pubblicato originariamente nel 1963 con la revisione dello stesso Guevara ed ora incluso in Italia in La guerra rivoluzionaria a Cuba, che la Mondadori, in concomitanza con l'uscita internazionale del film, ha proposto finalmente in una traduzione integrale) e dalle bozze del copione firmato da Benjamin A. Van Der Veen per la versione cinematografica che avrebbe dovuto girare Terrence Malick (progetto poi abortito per realizzare The New World), per proporne, dopo quasi una decina d'anni di documentazioni e ricerche (pur con qualche colpevole omissione), una sontuosa biografia, affrancata senz'altro dal respiro poderoso dell'epica ma anche dal glamour delle commemorazioni modaiole e mediatiche, rifuggendo sempre, altra nota di merito, l'enfasi e le banalità della retorica: il suo affresco della rivoluzione cubana, infatti, scorre sullo schermo evitando accuratamente le trappole dell'agiografia, schivate dalla molteplicità di punti di vista offerti dalla differenziazione dei piani temporali in cui è strutturata la narrazione, immergendone le evoluzioni drammaturgiche nei tempi dilatati di una messinscena di smagliante impatto spettacolare (fotografia, straordinaria, dello stesso regista, che impiega una nuova, anch'essa rivoluzionaria, macchina da presa digitale per sfruttare al meglio le suggestioni visive delle luci naturali), nella cura della ricostruzione storica, che si avvale degli inserti in bianco e nero dei cinegiornali dell'epoca (bianco e nero che Soderbergh utilizza anche nelle sequenze in cui il Che viene intervistato, sia dalla giornalista che dalla tv americana, o durante il suo viaggio a New York in occasione del celebre discorso alle Nazioni Unite, concluso dal memorabile "Patria o Muerte!"), e nel fascino della cornice ambientale (con locations sparse tra Messico e Porto Rico). Che - L'argentino è anche un film di Benicio Del Toro (non soltanto, ovviamente, perchè ne è uno dei produttori): la sua interpretazione di Guevara, premiata al Festival di Cannes, è magistralmente orchestrata su un accumulo di dettagli e sfumature che il divo portoricano tratteggia con l'incisività dell'attore di razza (con tanto di viaggio a Cuba, colloqui con i familiari e gli amici di Guevara ancora viventi ed un incontro di pochi minuti con lo stesso Fidel Castro), cristallizzando sullo schermo l'umanità del personaggio e la sua immagine mitica, "un'anomala combinazione tra un intellettuale ed un uomo d'azione, sia Gregory Peck che, allo stesso tempo, Steve McQueen". Presa Santa Clara, le truppe ribelli si preparano a marciare su L'Avana: il film si interrompe qui, davanti al cartello stradale che indica la distanza (297 km) dalla capitale, poi sarà Guerriglia. Durante i titoli di coda la splendida Fusil contra fusil di Silvio Rodrìguez, composta nel 1967 proprio in onore di Guevara dal grande musicista cubano ed inclusa soltanto dieci anni dopo nel suo album Cuando digo futuro.
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