Regia di Pablo Benedetti, Davide Sordella vedi scheda film
Quando, vestito di un bianco abbagliante, il sarto gay da cui in forma di ricordo intervista scaturisce la vicenda di Corazones de mujer si chiede“Perché voglio diventare una donna?” e si risponde “Perché è meraviglioso” viene da controbattere…insomma! Il film è dedicato in realtà al cuore umano e il cuore, per tradizione e Storia, in quanto ricettacolo palpitante di sentimenti ed affetti, è di genere femminile e non maschile. Davide Sordella e Pablo Benedetti in una pellicola volutamente naif nata da un incontro in un locale marocchino torinese, si propongono di rappresentare la difficile convivenza in una metropoli italiana del terzo millennio fra accettazione e paura di fronte a stili di vita antitetici a quelli conformi a usi secolari: la questione riguarda soprattutto gli immigrati maghrebini e per raccontarne il gravoso percorso di scoperta dei diritti individuali i registi si nascondono dietro uno pseudonimo, Kosoof, che in arabo significa appunto eclissi, e affidano agli stessi protagonisti, interpretati da attori non professionisti, l’onere di farsene testimoni. Tra Torino e Casablanca c’è di mezzo il mare dei pregiudizi e dei sensi di colpa e l’uomo e la donna, solidali nell’emarginazione, devono, appoggiandosi l’uno all’altra, attraversarlo, per essere parte consapevole di una civiltà eclettica e viva, dove trasgressione e creatività vanno a braccetto: viaggio di iniziazione dunque che ha proprio nella memoria cinematografica il veicolo privilegiato. La strana coppia si muove su una Spider Alfa Romeo rossa e la prima tappa è l’albergo di Almeria dove ha dormito Sergio Leone: l’auto è la stessa guidata da Dustin Hoffman ne Il laureato del 67, un testo sacro della contestazione degli anni 60-70, di cui Corazones de Mujer segue le impronte, indicando decenni più tardi e in un contesto etnico quasi speculare, la necessità di infrangere barriere mentali e psichich per creare condizioni di esistenza più consone ai bisogni umani. Purtroppo l’appiattimento sugli stilemi del cinema-verità e l’effetto da videoclip condensati a forza nella tragicommedia alla Amodovar smorzano irrimediabilmente l’equilibrio e la compattezza che l’iter interiore dei due protagonisti avrebbe sicuramente meritato: così l’immersione nei luoghi di origine si ferma a fior d’acqua, concretandosi in un collage senza risonanza di flash e di episodi buffi o tragici, intervallati a caso da confessioni e immagini simbolo, quali il pesce morto sulla spiaggia e la comunità ridente di vecchi nel villaggio marocchino che lamentano la perdita graduale di memoria, l’unica possibilità di recupero per chi ha perso per sbaglio la verginità e vorrebbe riaverla, azzerando il contachilometri e rifacendo il rodaggio.
Mio blog..http://spettatore.ilcannocchiale.it
avrei dato tutt'altro stile allo storia dei due lasciando perdere il tentivo di imitare Almodovar
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