Regia di Peter Berg vedi scheda film
I supereroi hanno superproblemi. E un grosso deficit d’immagine se causano superdanni e si inimicano la popolazione che, per definizione, dovrebbero proteggere. Dropout losangelino, Hancock soffre anche di un deficit mnemonico, non ricordandosi il passato e le sue origini, problema fondamentale per un supereroe che, nella determinazione dei propri poteri, trova la base delle motivazioni che lo spingono a soccorrere i più deboli, rifacendosi al trauma iniziale motivazionale della missione caratteristica. Hancock non ha memoria di sé, quindi agisce per istinto, annebbiandosi con l’alcol per dimenticare che non ricorda e a rischio di esilio per comportamento e linguaggio scorretto. Superman supersfigato, Hancock deve essere rimesso in carreggiata da un p.r. disoccupato che ne curi l’immagine e gli ridia smalto e stima. Su una base a metà tra il fumetto e una sitcom, Hancock si rivela però un melodramma romantico con la scoperta di una supercompagna con cui l’eroe svogliato forma l’ultima coppia di semidei, destinati a trasformarsi in umani banali allo scoccare dell’amore e alla vicinanza del partner designato, con conseguenze catastrofiche di reciproco annientamento. Mimetica e sorprendente, Charlize Theron irrompe in scena rubandola con pochi sguardi a Will Smith, relegandone anche il personaggio a traino del proprio e mostrandosi, priva di dubbi e traumi, come il motore unico della narrazione, letteralmente deus ex-machina dell’intera vicenda.
L’assunto assurdo si traduce ben presto in un film che, come ogni altra pellicola sui superdotati, definisce i parametri dell’eroe, le sue origini e le possibilità di filiazione cinematografica infinitamente variabile, con la libertà aggiuntiva derivante dal non essere un adattamento di un immaginario preesistente. Hancock diverte relativamente senza sorprendere, riallinendosi infatti ai parametri tradizionali dopo un incipit singolare, e si distingue per un uso realistico delle manipolazioni digitali, mascherate da zoomate successive e messe a fuoco a ripetizione a scrutare l’interno dell’inquadrature, come a cercarne un’originalità sfuggente; oppure ad iscrivere la fantasia nella realtà, cercando di nasconderne i punti di sutura e le forzature. Hancock è un eroe allo sbaraglio, privo di storia, incapace di non generare danni collaterali, ormai disamato e temuto, guardato con antipatia e risentimento. Non è un paese per eroi, ormai, quello in cui Hancock si trova, da immigrato clandestino e divinità in pensione senza meta né ideali, incapace di adattarsi al ruolo che dovrebbe essere il suo. Come quel paese, che non è nemmeno il suo e che, come lui ricerca nuovo vigore e la perduta dignità.
Ma la grana realistica si sfalda appena entra in campo la superdonna, lasciando spazio al battibecco amoroso di una comédie du remariage impossibilitata dall’assunto della incompatibilità ambientale dei due coniugi e l’allontanamento di un lieto fine impossibile. Se il destino li vuole uniti, la trama e la volontà separa i predestinati che scelgono di contrapporsi alla necessità dell’accoppiamento e interpongono tra di loro chilometri di sicurezza. Il vagabondo losangelino si trasferisce superarmi e bagagli pieni della tuta d’ordinanza a New York, la città dei supereroi Marvel, assumendo appieno il suo ruolo di protettore volante, mentre la compagna si cela sotto l’identità segreta di una casalinga californiana, spezzando così in due filoni il nucleo problematico dei supereroi moderni, sempre in difficoltà tra la gestione dell’immagine pubblica e di quella privata, nascosta ai più. Ora il campo è libero per una nuova declinazione del personaggio, in un sequel autorizzato dai lauti incassi.
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