Regia di Hong-jin Na vedi scheda film
The chaser rientra a pieno titolo nella ristretta categoria degli esordi con il botto, di quelli che presentano un bel fiocco intorno al pacco. Infatti, Na Hong-jin lascia tutti di strucco orchestrando un thriller contaminato con classe, spirito d’iniziativa e un’insolente, quanto prospera, caparbietà, che possiede, e tramanda, automatismi insoliti, votati a sorprese che vanno oltre ai più consolidati twist.
Per questi motivi, e molto altro ancora, The chaser è uno tra i principali titoli che rendono la recente cinematografia sudcoreana tra le più stimate, e in ascesa, al mondo.
Da tempo, l’ex poliziotto Jung-ho (Kim Yun-seok) gestisce un gruppo di prostitute, dovendo fare i conti con la scomparsa di alcune di loro. Quando anche Kim Mi-Jin (Seo Yeong-hie) svanisce nel nulla, scopre un nesso che collega a un unico uomo tutte le ragazze scomparse e si getta a capofitto in un’azione veemente per salvare la ragazza. Individua rapidamente il colpevole ma ci si mette in mezzo anche la polizia, rendendo la sua rincorsa sempre più disperata, all’ultimo respiro.
Na Hong-jin sarà pure all’esordio ma si muove come un veterano che non ha fatto altro nella vita che realizzare thriller a effetto, nei quali la sorpresa assume sembianze surreali e quasi assurde, eppure fin troppi reali, testimoniando la fallacità del sistema, la disattenzione nell’espletare il proprio incarico e quell’incapacità di guardare oltre i protocolli imparati in accademia, che l’esperienza spaccia per oro colato.
Infatti, non è il colpo di scena a ferire, in pratica quasi tutto è espresso alla luce del sole, o meglio al cospetto dell’oscurità, quanto appunto trovarsi tutto lì, di fronte a noi e scoprire che il male è sempre un passo avanti, prevedibile eppure inafferrabile e di conseguenza beffardo (aspetto ripreso dall’autore, in altre forme, in The wailing).
A fondamentali solidi, ingigantiti dall’essere messi al cospetto di un’essenza che scavalca di slancio gli appurati punti di vista, fanno seguito dettagli che non lasciano nulla in disparte, come una pala conficcata nel terreno o un bagno fatiscente, per una messa in scena affilata che sfrutta appieno le due ore a disposizione per apportare sempre un ulteriore dettaglio.
Procedendo su questa traiettoria, la trama si allarga a macchia di leopardo, mostrando la determinazione assoluta, anche da chi non ti aspetteresti mai, e inettitudini allucinanti che contribuiscono a rendere più limpidi gli straordinari di un atipico antieroe per eccellenza, mentre il male si muove senza vincoli, libero e consapevole di poter proseguire il suo percorso.
Da qui derivano lampi di follia assoluta che conducono nei meandri del dolore più profondo, con la salvezza impossibile da raggiungere anche quando sembra proprio di averla conquistata (nessun rifugio può essere quello risolutorio), uscendo quindi una volta di più dai paradigmi del cinema convenzionale.
Proprio in virtù di un’ampia articolazione, anche alcune incongruenze non vengono al pettine ma rientrano nelle considerazioni di un sistema inadeguato, con l’impotenza che fiacca lo spirito, il senso di colpa che sprona ad attingere a ogni forma di energia residuale, con la rabbia che, in attesa della giustizia divina, diventa incontrollabile.
Comprendendo un finale che ha punti di contatto con Seven, The chaser diventa un’opera sempre un passo in avanti, talmente surreale da apparire terribilmente prossima, con la violenza più brutale (di un assassino seriale sicuro di farla sempre franca), il dolore più forte (come quello di una bambina che sta perdendo la madre), e l’indifferenza più totale, sempre lì, a portata di mano.
Fratello di sangue di Memories of murder, The chaser è raggelante, rendendo il pubblico partecipe, per poi trasmettergli la sensazione dell’impotenza più totale.
Immancabile, nell’essere abissale rappresentazione di un orizzonte putrefatto e nella concezione, assolutamente illuminante anche volendo rimanere ancorati alle regole della semplice tensione (con annesso raccapriccio).
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