Regia di Robert Benton vedi scheda film
Il sogno come scusa narrativa. Benton, che si è distinto con numerose pellicole molto ben riuscite (Cattive compagnie) cerca di creare una tensione hitchcockiana (citato nello sguardo che si dimena in due finestre di un palazzo di fronte in una sequenza) senza gettare basi di vero interesse, proponendo un protagonista insignificante (interpretato da Roy Scheider) e una Meryl Streep anche troppo brava per il ruolo, per non parlare poi dello spreco di Jessica Tandy in due sole scene. La regia è professionale, e gioca sul chiaroscuro e sui volti immobili con gli occhi sbarrati, per rendere eloquenti spazi bui e minacciosi, che si tingono di paure ataviche specie dopo la sola lunga e abbastanza inquietante sequenza onirica, bella dal punto di vista estetico ma senza fondamento: la ricostruzione dello spazio del sogno da parte di Roy Scheider alla fine, nella stessa casa dove il sogno stesso si era a quanto pare ambientato, suona stridula e campata in aria, come stona il colpo di scena finale, che allontana inesorabilmente il film dalle perfette scatole cinesi hitchcockiane. Sicuramente c'è il desiderio sincero di trasmettere tensione, di riproporla in una maniera professionale, senza sbavature, anche evitando a tutti i costi il patinato, e Benton in questo caso non ne sbaglia una, ma il film mostra sul lato narrativo e tematico una debolezza difficilmente perdonabile, e molte ingenuità e punti irrisolti. Il rapporto fra i due protagonisti all'inizio sfocia in una storia d'amore abbastanza risaputa, in seguito passa a un secondo livello interessante in cui Meryl Streep incarna il ruolo di una dark lady debolissima, di forza misteriosa ma non conturbante, e si circonda di un'aere ignoto ma fragile, finché, in una terza fase, tutto si spiega, e il colpo di scena, più che una geniale trovata hitchockiana, ricorda di più le conclusioni campate dei film di Dario Argento, in cui non si può arrivare alla conclusione attraverso indizi (esempio emblematico: i libri di Agatha Christie), ma si vuole addossare il ruolo del colpevole a un personaggio inaspettato attraverso delle scoperte finali che sembrano più un deus ex machina macchinoso e programmatico, piuttosto che la rivelazione di chissà quale verità. Allo stesso modo la ricostruzione suddetta di Roy Scheider è molto d'effetto, molto interessante visivamente, ma sembra il risultato di una razionalizzazione errata delle interpretazioni dei sogni funzionale più alla trama che alla verosimiglianza. Ingenuo, sicuramente un intrattenimento qualitativamente discreto, ma decisamente sprecato e discontinuo.
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