Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Esordio al cinema da pelle d’oca, e puro sgomento, per Steve McQueen perché se da un lato riprende una storia di battaglia non nuova (nel frangente adoro da sempre “Nel nome del padre”, 1993) dall’altro non si fa mancare innesti superiori che avallano una costruzione che per lunghi tratti sa essere essenzialmente impeccabile.
Nella prigione di Long Kesh i terroristi dell’Ira scontano la loro pena, ma non rinunciano alla loro lotta.
Così dopo la protesta dello sporco arriva quello della fame, con 75 detenuti pronti a tutto, in primis Bobby Sands (Michael Fassbender).
Opera durissima, sostanzialmente divisa in tre parti.
La prima che introduce lo spettatore nelle viscere del tema, tra la paura dei poliziotti (l’inizio in questo caso è emblematico, ogni singolo movimento viene seguito già in massima tensione) e la protesta senza paura dei carcerati.
La seconda che dopo che le scarne parole della prima è tutto un dialogo, quello lunghissimo tra Bobby Sands e il prete (Liam Cunningham), un confronto che diviene racconto di vita, di posizioni, con ideologie a confronto.
La terza nella quale la parola manca del tutto e le immagini si elevano ad uniche protagoniste della scena assieme ad un personaggio che anche quando non è più in grado di capire nulla non dimentica la sua lotta.
Tre atti con qualità diverse, ma che vanno a costruire un affresco che abbina al racconto di denuncia la potenza delle immagini e della composizione delle stesse, così le stanze dei detenuti riempite di escrementi e cibo avariato diventano a loro modo invenzioni visive (vedasi vari dettagli, ad esempio durante la pulizia di una di esse), l’urina che fuoriesce dalle celle viene ripresa in un’insieme geometrico dal corridoio, il pestaggio di rappresaglia assume una forma unisona e nella trascendenza del protagonista non mancano gli inserti onirici, come il sussulto di un gruppo di uccelli o le rimembranze della sua adolescenza.
Così quando si palesano i titoli di coda si rimane formalmente senza parole, merito di una rappresentazione essenzialmente notevole del regista, dell’abnegazione di un protagonista pronto a tutto, e per fare il grande salto cinematografico (il Michael Fassbender che ci sta regalando tanto), e di una storia fatta di ideali e di ingiustizie (non solo quelle verso i detenuti, ma anche quelle verso coloro i quali facevano solo il loro sottopagato lavoro dall’altra parte, mai capito perché non paga quasi mai il mandante che questo sia l’eversivo o il detentore del potere).
Potente.
Racconta una storia di dolore, ideali e battaglia (personale e comunitaria) con inserti propri di un talento visivo decisamente superiore alla media.
Un esordio con i fiocchi.
Coprotagonista della parte centrale segnata da un dialogo lungo ed articolato.
Discreto.
Condivide col regista la riuscita dell'opera mettendoci anima, talento e corpo.
Abnegazione assoluta, soprattutto nell'ultima parte nella quale è sconvolgente per impegno e partecipazione.
Indimenticabile.
Poco più che un'apparizione la sua.
Apre il film con una significativa sequenza e segna comunque la scena con un altro paio di momenti chiave nei quali ben figura.
Discreto.
Protagonista della prima parte, tra ribellione e sofferenza.
Più che sufficiente.
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