Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Dopo il successo di Shame approda anche nelle sale italiane il primo lungometraggio di Steve McQueen. Il tema "di nicchia", trattato mostrando una violenza belluina senza aggiunta di Malox, e le soluzioni di regia spesso radicali sono soltanto parzialissime giustificazioni al colpevole ritardo con cui il film è arrivato nelle sale. La storia raccontata è quella del 27enne Bobby Sands (Fassbender), attivista nordirlandese, battutosi per vedersi riconoscere, insieme ai suoi compagni di lotta dell'IRA, lo status di prigioniero politico, fino alle estreme conseguenze: uno sciopero della fame (da cui il titolo del film) - unito a quello delle coperte - che in 66 giorni, nel 1981, lo portò al creatore. Grazie, signora Thatcher.
Portata per la terza volta sul grande schermo dopo Una scelta d'amore (1996) di Terry George, e Il silenzio dell'allodola (2005) di David Ballerini, la vicenda di Bobby Sands viene raccontata stavolta senza alcuna tentazione retorica o agiografica, con la voce originale della Lady di ferro a sottolineare l'asprezza della contesa tra separatisti e governo, lo stile asciutto e impermeabile a ogni possibile forma di stucchevole pietismo, l'iperrealismo delle botte da orbi, della convivenza coatta dei prigionieri con piscio ed escrementi. Ma a stupire sono la prova magistrale di Fassbender (d'obbligo il confronto con quella sostenuta da Christian Bale ne L'uomo senza sonno), capace di dimagrire di quasi 20 chili a beneficio del verismo della settima arte, e la regia personalissima di Steve McQueen (un "esteta del sordido", come lo ha definito Alberto Crespi), nella quale ogni singola inquadratura sembra studiata ad arte e dove, soprattutto, spicca un lavoro di rara finezza sul sonoro. Strameritata la la Camera d'or vinta a Cannes nel 2008.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta