Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Hunger è il primo film del video artista Steve McQueen, che ha come interprete principale il solidale Michael Fassbender non ancora Coppa Volpi a Venezia per Shame dello stesso McQueen e non ancora nelle grazie di Cronemberg e Tarantino E’ la storia di Bobby Sands, attivista dell’Ira e della protesta “dello sporco e delle coperte” attuato nel carcere di Maze nel 1980 contro il governo Thatcher. La richiesta di essere considerati prigionieri politici anziché criminali comuni è alla base dello sciopero della fame che portò alla morte Sands e altri compagni di cella nel tentativo di far cedere l’Iron Lady inglese.
Maze. Labirinto. Quello che viene perso nel penitenziario di Maze è l’umanità. Non c’è filo che conduca al di fuori di una normalità scandita dalla violenza e dalla sopraffazione. La vita del secondino schiacciato dalla routine delle mani fratturate a forza di pestare detenuti, l’ispezione mattutina alla ricerca di possibili bombe poste sotto l’auto subito dopo la toeletta e le uova con il bacon servite dalla moglie, è una faccia della medaglia che dall’altra parte impone il Primo Ministro Britannico, Margareth Thatcher e la sua voce proveniente da un altro pianeta, metallica e disumana così come le celle imbrattate di merda dello stesso metallo hanno le sbarre che vibrano per la mastodontica assenza di pietas che echeggia nei corridoi del carcere. Mc Queen penetra con la macchina da presa nei corridoi e nelle celle, si impasta degli umori, della poltiglia di feci e cibo che si accumula negli angoli. Registra l’informe corpo istituzionale farsi mostro tentacolare e cibarsi delle ultime stille di dignità dei detenuti. La forma di questo documento è sempre distaccato, mai pienamente partecipe e neppure morboso. La delicatezza della messa in scena erompe in una potenza visiva e evocativa di grande impatto emotivo.
Hunger è una lama piantata nel ventre molle della coscienza, un fermo immagine d’odio dalla resa cromatica sempre virata sulla violenta contrapposizione di toni freddi e caldi. I corpi nudi dei detenuti si stagliano nel biancore come presenze fantasmatiche in un castello degli orrori. McQueen organizza spazi luridi riempiti di corpi accomunati dalla stessa materia lurida, irriconoscibili e trasformati dal tempo che filtra dalle pareti esibendo le conseguenze del suo passaggio in piani sequenza dilatati e ossessivi. Film bellissimo e durissimo, diviso in tre parti e scarnificato delle parole, lascia spazio ad una messa in scena che ha in ogni inquadratura, nella composizione cromatica, nel lavoro sui suoni o sulla loro assenza, un rigore formale dal profondo senso cinematografico. Il racconto filmico di Mc Queen è un corpo scarnificato degli orpelli del racconto stesso esattamente come il corpo di Bobby Sands si asciuga in una lenta agonia per mostrare nell’annullamento dell’essere umano, il trionfo dell’idea che ne motiva la vita: la libertà.
Quella di Sands è una passione laica, razionalmente coerente che non ha nulla ne’ di religioso, ne’ di fanatico o estremista. Un trattato di lucidità esposto in venti minuti di confronto verbale a camera fissa tra Bobby Sands e il prete del suo paese (Liam Cunningham) durante il quale le parole prendono il corpo e le idee si fanno carne. L’idea di libertà prende corpo man mano che la carne si assottiglia attorno alle ossa di Bobby, nel silenzio di una luce chirurgica nulla ci viene risparmiato della sofferenza del corpo in trasformazione, mutando in concetto astratto. L’idea di libertà nasce e si nutre del suo ideatore fino al librarsi finale.
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