Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Mi vedo costretto a iniziare questo articolo rievocando dati e contesto storico durante il quale si svolsero i fatti raccontati dalla pellicola. Per cui segnalo che ci troviamo nell’Irlanda del Nord, a cavallo tra il 1980 e l’81. Do risalto alle oltre 3000 persone che furono uccise durante i cosiddetti “disordini” nordirlandesi creatisi dal 1969 in poi, e richiamo l’attenzione sui risvolti politici (perché quello che accade nel film è tutto vero) di cui furono protagonisti i terroristi dell’IRA.
L’obbligo di inserire una prefazione informativa è motivata dal fatto che Steve McQueen decide di lavarsi le mani in merito all’universo storico-politico, affidando a fredde didascalie su sfondo nero gli avvenimenti, e rivelando fin da subito l’intenzione di mettere in scena un lento processo disumano di logoramento fisico. Convinti che la strategia del Blanket and dirty protest fosse quella giusta da adottare in risposta ai silenzi e alle reticenze governative, le condizioni nelle quali si ritrovarono a vivere i prigionieri NON politici furono quanto di più sporco e bestiale si riesca a pensare. Ri-uniti come un insieme di rivoli pisciosi, i comuni criminali attuarono lo “sciopero dello sporco” come strumento di rivolta all’interno del carcere di Maze: così facendo confluirono in un unico ideale di rivolta che, passo dopo passo, scardinò a suo modo l’inflessibilità del Primo Ministro inglese Margareth Thatcher. Va da sé che in mezzo ci furono una serie di umiliazioni e percosse da film dell’orrore, in un crescendo di brutalità visivamente quasi impossibili da sostenere visti i soprusi delle guardie carcerarie e della polizia.
Poi, come un sollievo che permette di rifiatare (e pensare), il dialogo. Quello tra Bobby Sands (Michael Fassbender) e padre Moran. Lunghissimo, intenso, girato magnificamente e ultimato solo da un paio di stacchi. È uno spartiacque che contribuisce a far riaffiorare un flashback della memoria, quella di un’adolescenza passata a correre per i campi. Una visita tragica e spietata ai territori del sud del paese, che segna per sempre il destino del giovane Bobby. Oltre il confronto tra i due, metafora incompiuta dell’intera situazione, inizia una meschina tiritera durante la quale la cinepresa-avvoltoio indugia sulla carogna-Fassbender, in un corteggiamento che tergiversa sul prosciugarsi di sangue e muscoli, carne e anima.
“Hunger” è l’esempio perfetto di come si manifesta oggi certo cinema d’autore. Chiuso nel vicolo cieco della mancanza di ispirazione, cozza contro un sistema espressivo estremo che non sempre concilia il contenuto con la forza della comunicazione. Il dover passare attraverso forme sempre più terminali, nonché tecnicamente ineccepibili, di raffigurazione dell’immaginario, non consente il rinnovamento dell’effigie, alimentando anzi un cul de sac soffocante, decisamente anaffettivo e teorico. Una specie di sindrome da Real Time che racconta sempre e solo di se stessa, un tassello dopo l’altro, scendendo sempre più nella descrizione di dettagli non richiesti. Tutti perfetti, per carità, ma eternamente uguali.
F(autore) di questo cinema dell’annullamento, McQueen inganna la tragedia originaria estorcendo con la forza quelle poche emozioni rimaste, tirandole fuori come si fa con le viscere degli animali di cui siamo soliti cibarci. Se il regista è un’esteta della modernità, allora è la modernità a non avere più spessore artistico, incapace com’è di trasmettere la più basilare delle percezioni. Volendo mettere il dito nella piaga, concedo a McQueen II di essere un provetto videoartista ma non un esauriente regista.
E non basta controllare che la strada sia libera e che sotto la macchina (da presa) non si nascondano bombe pronte a farti saltare in aria; la pulizia formale di “Hunger” abbassa le difese immunitarie e conduce a luttuose lacerazioni dermatologiche. E’ come il puledro morente tutto pelle e ossa ricoperto da brutte ferite: allo spettatore che lo incontra non rimane altro che sperare nell’esistenza di un ruscello nelle vicinanze.
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Dico la verità, anche io mi sono fermato sul valore storico ed umano che questa contrapposione ha avuto, ma dal punto di vista cinematografico il discorso mi ha risollevato
Rifiato anch'io, caro Pompiere, e ti spiego: ho visto scomodare Velasquez e Goya per elogiare questo miracoloso Mc Queen, ho visto sciorinare lenzuoli di opinioni pluriacclamate, ho visto cose che gli umani... e poi mi sono rifugiata qui. Premetto: non l'ho visto, colmerò presto questa vergognosa lacuna, mi hanno detto che qualcuno é uscito dalla sala prima della fine in preda a soffocamento da pop corn...scherzo, ok, ma mi piace sempre trangugiare qualche antidoto prima, sai mai! Ottima la tua analisi, la prendo anche a scatola chiusa
Mai fidarsi delle scatole chiuse: potrebbero nascondere brutte sorprese ;)
Io non avevo letto praticamente niente prima della visione di "Hunger"; sono rimasto perplesso di quello che ho letto dopo. Comunque, fossi in te, un'occhiata gliela darei. Sia mai che possa piacerti.
Quello che posso dirti è che non tornerei mai a rivederlo. Non tanto perchè non mi sia piaciuto, piuttosto per il fatto che la sola idea di assistere alle dolenti astrazioni di McQueen contribuirebbe ad annoiarmi. Ecco l'ho detto: McQueen mi annoia.
Vedi Pompiere, giusto poco fa ascoltavo alla radio di quell'Urlo di Munch, icona del dolore, dello smarrimento dell'uomo contemporaneo, immagine con cui l'artista ha detto tutto in un solo segno scheletrico, quadro da guardare e poi chiudere gli occhi, battuto all'asta per 120 milioni di dollari. Qualche supermiliardario ha deciso di tenerselo in casa e guardarlo in continuazione (o chiuderlo in cassaforte). Il commento di un critico del The Guardian mi é sembrato molto in linea con quello che dici, lo riporto a braccio " L'arte oggi é un totem senza senso in un mondo diventato incapace di provare le vere emozioni che solo l'arte può dare". Comunque vedrò 'sto film, m'ha incuriosito, ma oggi preferisco dare la precedenza ad un concerto per organo, come si dice...ubi maior...
Ah beh, avessi "per le mani" un'occasione del genere, non starei a pensarci due volte. Concerto senza dubbio :)
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