Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
Cile, fine anni Settanta. Raul ha 52 anni e ama Tony Manero (John Travolta ne La febbre del sabato sera) al punto da volersi costruire una discoteca tutta sua nel retro di un bar fatiscente, per dare lezioni di ballo 'alla Tony Manero'. Squattrinato, Raul ottiene il denaro necessario all'impresa ammazzando qua e là. Poi un giorno la tv nazionale indice un concorso per sosia di Manero: la grande occasione per Raul.
Opera seconda di Pablo Larrain (dopo Fuga, uscito due anni prima), Tony Manero è la prima in cui il regista affronta - sia pure in maniera indiretta - il tema della dittatura di Pinochet. Un film narrato malamente, in maniera tragicamente priva di suspence, di ritmo e perfino di appigli logici per lo spettatore, tanto che per arrivare alla fine bisogna soffocare ripetutamente le domande su quanto sta accadendo sullo schermo e accettare il fatto che Larrain non voglia dare risposte, anzi: non vuole proprio significare nulla. E la conclusione della trama ben evidenzia tutto questo. Almeno fino a che non si cercano informazioni in rete sul film, che viene magnificato quale irripetibile, chirurgica, magistrale metafora del Cile di Pinochet - e quant'altro. Boh! Sicuramente il già antipatico (ma piacevole proprio per questa sua antipatia senza mezzi termini) personaggio interpretato da Alfredo Castro avrebbe ottenuto una riuscita migliore nella versione italiana se non fosse stato doppiato dalla voce piaciona e profonda di Rodolfo Bianchi - bravissimo, ma altrove; il montaggio nervoso che sbriciola di continuo la storia può ricordare quello dei film-dogma così come pensato da Vinterberg e Von Trier: ma qui i tagli non lasciano davvero alcuna suggestione, non imparentandosi neppure con il cosiddetto jump cut. Larrain scrive anche la sceneggiatura, insieme a Mateo Iribarren e al protagonista, e si aggiudica il premio come miglior film al Torino Film Festival del 2008, che incorona anche Castro come miglior attore e assegna alla pellicola il premio FIPRESCI. 3/10.
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