Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
La realtà e il sogno, la dittatura e il cinema, la violenza e il ballo nella vita di Raul Peralta coesistono, le seconde non possono essere realizzate ignorando le prime. Tutto nell’esistenza del cileno è fatto nella prospettiva di essere Tony Manero, di vincere il concorso come migliore sosia di John Travolta. Questo desiderio non è la maniera di un cinquantenne di Santiago di non pensare ai militari o a Pinochet ma è l’unica cosa a cui tiene veramente. Ballare come quello la, vestirsi e truccarsi come lui, vedere e rivedere sempre e solo quel film, gli fanno diventare accettabili i furti, le violenze e le impotenze, insomma la sua quotidianità. Il suo nichilismo è contrapporre alla violenza pubblica la sua personale violenza, più forte di ogni politica e della storia. Nelle dittature moderne rimane il fatto che il cinema è l’arma più potente, nel senso però che il nostro immaginario viene colonizzato in modo più profondo e definitivo di quello che riescono a fare i regimi militari. Il regista sta quasi sempre addosso a Raul, il cui sguardo non tradisce mai un emozione, sempre fisso sull’obiettivo e capace di ripetere a memoria e in originale la sua febbre del sabato sera. Quando il campo è più ampio l’ambiente esterno rimane duro e insensibile, tutto appare difficile, i rapporti economici e personali sfidano l’apparente indifferenza di Peralta, evidenziandone invece la sua consistenza poco incline al compromesso. Il mondo è sbagliato e lui reagisce perché deve dimostrare le sue qualità e rendere più accettabile il suo mondo per il tempo di ricevere i meritati applausi. La sconfitta finale non lascia scampo, Tony Manero vinceva perché era Tony Manero, Raul Peralta ha perso anche il suo sogno per tornare nell’incubo.
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