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Liverpool

Regia di Lisandro Alonso vedi scheda film

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La recensione su Liverpool

di maurizio73
8 stelle

Marinaio imbarcato su una nave mercantile, approfittando dell'attracco in un porto della Patagonia, decide di scendere a terra per recarsi a trovare la madre, ormai vecchia e malata, nel piccolo e sperduto villaggio disperso tra le nevi dove è cresciuto. Scoprirà di avere una sorella nata dopo la sua partenza che vive da sola insieme agli anziani genitori nell'eremo di una esistenza povera e solitaria e che la madre non lo riconosce più.
Attraverso i canoni di un scabro realismo prosciugato dalla grammatica di una narrazione dimostrativa e ridotto allo sguardo essenziale di inquadrature fisse dove radi e lenti  movimenti di macchina fissano la remota distanza delle estreme propaggini di un mondo ai confini del tempo, il regista Argentino prova a restituire il senso di un irreparabile sradicamento culturale e sociale nella vicenda di un volontario esule di una terra di nessuno, l'illusorio ritorno di un viaggiatore solitario alla disperata ricerca di una propria identità, di un luogo della memoria chiamato casa. Benchè i codici di questo linguaggio sembrano ricalcare una tendenza comune del cinema 'sociale' tanto di moda nei festival di mezzo mondo, il rigore di questo 'naturalismo antropologico' sembra congeniale ad una rappresentazione della realtà su cui non cada mai il facile giudizio dello spettatore, ridotto a mero osservatore di una condizione esistenziale mostrata attraverso lo straniamento di una terza persona che tallona i personaggi da una 'distanza di sicurezza', dove l'assenza totale del ritmo narrativo e di contrappunti musicali annullano qualunque aspettativa drammaturgica, finendo col restituirci la stanca e monotona sequenza di un inutile viaggio della speranza. Parimenti distante dall'estetica documentaristica il cinema di Alonso cova una sua raggelatà emozionalità nel rapporto tra i personaggi (genie di 'vinti' abbandonati al loro destino in una remota solitudine) e la cornice innevata di una regione sperduta dove la sopravvivenza si fonda su un'economia miserrima, basata sulla lavorazione del legno, sulla pastorizia e sulla caccia; un luogo senza futuro dove il tempo si è fermato e da cui il protagonista sembra essere stato scacciato dall'apparente durezza dei suoi genitori al fine di garantirgli un futuro dignitoso. Unica concessione al simbolismo è quella che racchiude il senso amaro di questo  piccolo e breve lungometraggio (solo 84 minuti), dove una giovane donna condannata all'infelicità rigira tra le mani il piccolo souvenir di un porto lontano.

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