Regia di Bouli Lanners vedi scheda film
Due solitudini si incontrano e si mettono in viaggio. Un uomo, Yvan, che compra macchine in America e le rivende in Belgio. Un ragazzo, Elie, che sta fuggendo da qualcosa, forse dalla sua tossicodipendenza. Dialoghi scarni e situazioni a tratti surreali riempiono il tempo di questa breve amicizia, mentre intorno alla macchina sulla quale i due viaggiano si muovono distese d’erba coperte di nuvole e case fiamminghe. Non si cerca e non si trova nulla durante questi spostamenti, più che altro ci si accorge che l’umanità non ha bisogno di legami duraturi per manifestarsi. Anche degli sconosciuti possono trovare attimi di inaspettata e commovente familiarità, come Yvan che stringe la mano della madre di Elie, mentre lui e il padre stanno litigando in un’altra stanza. Il viaggio non è catarsi o scoperta è semplicemente vita. Nel suo apparente e inutile scorrere, dove magari sono le piccole cose, le parole inaspettate, i gesti improvvisi, gli incontri più strani a tessere le trame dell’esistenza, che non dovrebbe mai appoggiarsi su certezze e granitici punti di vista ma sull’imprevedibilità di ogni giornata.
Il regista, Bouli Lanners, si affida all’estetica consolidata del road movie americano (e wendersiano) e alla sua classica struttura narrativa (alternanza di soste e spostamenti) immergendole in una fotografia plumbea e bluastra senza dimenticarsi che, nei film di viaggio, musica e immagini trovano una perfetta armonia.
Eldorado ha la magia di una dimensione esistenziale sospesa e fluttuante, in movimento per scelta, dove le emozioni si manifestano con tenerezza e pudore, a volte per nascondere segreti più dolorosi, perdite e sconfitte, altre per illudersi ancora, come per quel gesto di apparente pietà (far morire un cane che stava soffrendo) che diventa una ricaduta nelle proprie debolezze.
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