Regia di Albert Serra vedi scheda film
Allegoria desertificata
"C'è una frase di Picasso che a me piace molto, che credo che si possa applicare perfettamente al modo con cui lavoro con gli attori, che dice: "Io non cerco, trovo". [...] Ma diciamo che in generale mi piacciono le cose molto sicure e che non mi piace sperimentare ne perdere tempo. Come lo faccio? Come ho detto prima, faccio film che siano concettualmente, almeno, molto chiari. Per questo una visione del Don Quijote fa pensare abbastanza: è un cosa solida, che tutti conoscono, voglio dire... non c'è bisogno di perdere tempo studiando; i tre Re Magi sono cose semplici che tutti conoscono, che tutti possono capire e che non devi perdere tempo cercando di coinvolgere lo spettatore."
- Albert Serra -
Incanti visivi. La fascinazione del racconto letterario. Rielaborazioni lunari. Sospesi nel mistero della Storia. El Cant dels Ocells è poesia della stanchezza, l'arrancare del movimento ; un raccontare la decadenza in tutta la sua lentezza, rendere tangibile l'indecisione, l'affanno. Goffa umanità che avviluppa i Re Magi e li appesantisce. La Rivelazione, a cui mirano, sembra lontana, inarrivabile, sconosciuta. Rappresentare l'esitazione, i limiti dell'esistenza, l'ansia verso il percorso sconosciuto (il futuro?). Paura dell'immensità del territorio, del luogo sconfinato - inadeguati alla vita, al mondo, alla crescita evolutiva. Difettosi. Il deserto è la solitudine universale. In questa pellicola di Albert Serra, il tragitto sembra risultare superfluo, pesante, inutile - non viene preso in considerazione. Si potrebbe dire che El Cant dels Ocells sia l'opposto di Gerry, il suo ribaltamento simbolico e filosofico : nella pellicola di Gus Van Sant, il disorientamento è indispensabile, lo smarrimento è necessario per conoscere il proprio Io, per scoprire se stessi - il tragitto conta, non la destinazione -; la meta non si conosce, non è importante, non è indispensabile per portare a termine il proprio viaggio introspettivo. Nell'opera del regista spagnolo, invece, si conosce solo la missione da portare a termine - la meta è prefissata e nota, e il sentiero da seguire è ignoto ; il cammino da percorrere viene svuotato della sua importanza, non c'è progresso e maturazione, anzi, questo lento avanzare, questa perdizione vitale pare evidenziare semplicemente la pesantezza e la superficialità dell'umanità. Il deserto è lo spazio atemporale nel quale girovagano, "ruotano", questi tre ammassi di carne, afflitti da una sorta di superficialità primitiva, senza mai entrare in collisione con l'Azione, il reale Movimento, lo Stimolo, il Sentimento. Assenti nella loro presenza, affondati nello stallo esistenziale, persi e dispersi. Timorosi e privi di reazioni, vuoti, sempre immersi nel buio che oscura la conoscenza. Metafore cosmiche. Vecchi come la storia dell'uomo : ecco che appunto rappresentano la decrepiticità dell'archetipo, il servilismo dell'essere vivente, la fatiscenza vitale in tutto il suo morbido e silenzioso non rinnovarsi. Bloccarsi. Rallentati dal loro stesso peso. Ai tre Re Magi non è concesso perdersi all'Orizzonte, sarebbe un privilegio per anime celesti, vergini, attive, con voglia di esplorazione. Non per umili servi, per pesanti "schiavi" della vita. Ecco quindi rappresentato l'Uomo in tutto il suo apatico destino. Melancholia di vite prefissate, programmate. Nemmeno l'Oscurità è stimolante - non c'è "ricerca" -, ma, semplicemente, rallenta e basta, appesantisce maggiormente, ritarda il traguardo, posticipa l'arrivo, il raggiungimento dell'obiettivo prestabilito. C'è un pessimismo quasi archetipale in questa favola rielaborata ; un annaspamento scarnificato, ridotto all'osso, vero, fisico. Il Reale estrapolato, distillato. Spenti, come probabilmente è spenta la stella cometa che guida i tre protagonisti. La Bellezza sta proprio nella contemplazione di questo grigiore. L'Umanità è anche questo: il Reale, quello nascosto tra un capitolo e l'altro della storia del mondo, quello dissimulato. El Cants dels Ocells raffigura anche l'aspettativa di un'umanità pigra, che attende il cambiamento che non avverrà. Cercando qualche (forzato) parallelismo cinematografico si potrebbe dire che l'opera di Albert Serra è una sorta di Il Cavallo di Torino più storico e meno apocalittico - meno definitivo. Quindi, un film sulla vacuità dell'attesa e, anche, sull'inerzia di raggiungere la meta prefissata, avanzare senza sentimento, camminando meccanicamente. Ricostruzione contemplativa. I tre re magi hanno un aspetto, un non-fascino, che si allontana dal trascendentale , approdando verso una dimensione più umana, comune, corporea (vecchiaia, obesità), quasi pittorica - nello specifico "botteriana". Paradossalmente, in queste Immagini, lo spettatore non riesce comunque ad Identificarsi : i film di Albert Serra non sono specchi per il pubblico, non avviene alcuna immedesimazione spettatoriale ; sono opere stranianti, alienanti. Per i tre Re Magi non c'è tempo per gli ossequi, per godersi il piacere dell'arrivo. La vita è un avanzare e basta, senza premi. Bisogna ripartire per l'Egitto, subito. Nemmeno la tanta agognata meta si lascia assaporare. Tutto sfugge. Ecco che bisogna ripartire, affrontare un altro capitolo identico. Arrancare, ancora - non si ha nemmeno la forza e la determinazione per tornare al punto di partenza, anzi, non si torna più indietro, schiavi della vita, del deserto. L'unico simbolo di tranquillità e pace è rappresentato da un angelo, da una figura femminile angelica, elemento palesemente ultraterreno, di conseguenza questo equilibrio primigenio e questa perfezione estetica sono rappresentati dal trascendentale, non dall'elemento terreno, non dall'umano [di nuovo non c'è identificazione]. L'unico modo per evadere da questa spenta e fatiscente realtà sembrerebbe sognare. Per far sì che ci si possa allontanare da questa svogliatezza e deformità esistenziali, si approda nel sogno, in cui uomini saltano da una nuvola all'altra. Nei sogni si trova la Totalità : il bene (l'angelo) e il male (il serpente) ; nella realtà non c'è nell'uno nell'altro, ma solo una tremenda indifferenza e apatia - sabbia, pioggia e desolazione. Ecco che si ritorna ai movimenti goffi, insicuri, timorosi, dubbiosi, stanchi, lenti. Forse il vero ritorno alle origini, al primordiale - il vero punto di partenza. Grigiore. El Cants dels Ocells è un'opera ipnotica, contemplativa e affascinante. Un quadro che si muove lentamente. Le aspettative del racconto classico vengono stravolte, distrutte in virtù della magia cinematografica ; ecco il Cinema, l'anarchia artistica, l'innovazione nel tradizionale. Intrusioni di spontaneità filmica, l'invasione da parte del Magico.
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