Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film
Il silenzio, che, nella filmografia di Ceylan, è il delicato rumore dei pensieri, si mescola qui al fango dell’omertà e della vigliaccheria. Le tre scimmie non vedono, non sentono, non parlano per paura della verità, o, peggio, per la convenienza della menzogna. La disgregazione dei rapporti affettivi che - dopo essere stata più volte evocata da lontano, nelle prime opere del regista, si era già concretizzata, nel precedente Il piacere e l’amore, in un vero e proprio tradimento – diventa qui la sostanza stessa del racconto: per la prima volta Ceylan, anziché abbandonare la narrazione al cieco e banale corso degli eventi quotidiani, realizza una storia sostenuta da una robusta trama, fatta di un diabolico intreccio di connivenze, vendette, scambi di favori. L’argomento, che sembrerebbe la materia ideale per la solita commedia del potere, è però trattato da una prospettiva psicologica, e guardato attraverso il dolore che il complotto e il sotterfugio causano in coloro che, partecipandovi in prima persona o indirettamente, finiscono sempre per rimanerne vittime. Il dramma è scatenato dalla sofferenza di chi, posto davanti alle conseguenze dei propri errori, è costretto a rinunciare a fare chiarezza, a chiedere aiuto e magari perdono. Così il male subito o commesso rimane dentro all’anima, in attesa di maturare, di riflesso, nuove azioni tragicamente sbagliate. La corruzione si impara, si trasmette per contagio e si propaga per emulazione, con un effetto domino che sovverte i valori morali dei singoli individui, fino a cambiare il volto dell’intera umanità. Il bene pubblico è eroso, poco a poco, da tanti piccoli peccati privati, e la famiglia, in cui si sia infiltrato il germe del malcostume, si rivela un’accogliente e calda incubatrice per il morbo. Quest’ultimo è, inizialmente, solo una tentazione frivola, scaturita dalla vanità e dalla debolezza; tuttavia, dopo aver intaccato la superficie, si radica profondamente nella carne, dove diventa un cancro inestirpabile. Una volta tanto, in un'opera cinematografica, la deriva etica della società non è motivo di polemiche strumentali, di controversie politiche, di analisi storiche: è, invece, l’oggetto vivo e pulsante di un esame di coscienza che prende le viscere, e riversa, sulla plumbea fotografia di un mondo inquinato, l’umore nerastro della morte interiore.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta