Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film
Visivamente magnifico. La scelta e l’elaborazione delle immagini fanno di questo film un piccolo gioiello. Le inquadrature sono di una bellezza quasi pittorica, con cieli nuvolosi e cupi, campi d’erba accarezzati dal vento, scorci vertiginosi di palazzi, splendidi contrasti di luci e ombre. Quello di Ceylan è un estetismo ricercato, rigoroso, ma mai fine a se stesso. Più che con i dialoghi, le emozioni vengono rese con un’iconografia digitalizzata estremamente raffinata, l’uso di primissimi piani e campi lunghi, la dinamica degli sguardi, la deliberata riduzione al minimo dell’azione narrativa, e tempi estremamente dilatati. Il ritmo quindi è complessivamente molto lento, straniante, senza però dare mai un’impressione di freddezza o distacco. Il precario equilibrio familiare si regge sulla menzogna, sul non detto, e l’incapacità di comunicare, di assumersi responsabilità da parte dei protagonisti genera rapporti vissuti all’insegna di un’angoscia trattenuta e passiva. Il riaffiorare del ‘fantasma’ del figlioletto morto ha quasi la funzione di portare una sfumatura di quiete in un panorama affettivo desolante e irrimediabilmente compromesso. Finale coerente con l’atmosfera di infelicità irrisolta che caratterizza tutta la vicenda. Il tentativo di suicidio della donna? La possibilità di comprare la libertà/complicità di una terza persona, dando di nuovo il via a un circolo vizioso di responsabilità evitate per mezzo del denaro? Tutto ciò rimane in sospeso, senza soluzione e senza speranza, nel quadro cupo del temporale della bellissima scena che chiude il film.
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