Regia di Brillante Mendoza vedi scheda film
La famiglia Pineda un tempo gestiva tre sale cinematografiche a Manila. Ora gliene rimasta soltanto una, che trasmette ormai solo film erotici. La grande sala buia è diventata luogo privilegiato dei “serbis”, ovvero, coloro che offrono prestazioni sessuali in cambio di soldi agli occasionali avventori. Il commercio di sesso avviene sotto gli occhi della famiglia Pineda, che tollera tutto anche perché non sembra avere molte alternative. Poi ogni membro è preso dalle sue questioni personali. Nanay Flor (Gina Pareno), la matriarca, è in febbrile attesa della decisione del giudice per una causa di bigamia intentata contro il marito. Spinge i figli a prendere una posizione a suo favore, pur sapendo che mettendoli contro il padre gli potrebbe procurare gravi perdite economiche. Nayda (Jaclyn Jose) è la figlia più grande, quella che di fatto gestisce in Cinema. Ha un figlio piccolo che deve cercare di tenere lontano dalla vista di cose sconce. È poi attratta dal cugino Lando (Julio Diaz), nonostante sia sposata. Alan (Coco Martin) è il figlio più grande di Nanay, ha messo incinta la ragazza (Roxanne Jordan) e adesso deve gestire il prossimo matrimonio e le ire della matriarca. Merly (Mercedes Cabral) e invece la figlia più piccola, ha tanta voglia di sesso, e si vede. I fatti personali si mescolano quindi con la pubblica esposizione del vizio. Con il cinema che si fa teatro di realtà e di finzione.
“Serbis” di Brillante Mendoza è un film che ci conduce nel cuore maleodorante di Manila pur rimanendo pressoché chiuso all'interno di una sala cinematografica. Uno spazio divenuto luogo di inevitabile promiscuità, sufficientemente grande da essere casa dei proprietari e nascondiglio privilegiato per i tanti che nei suoi anfratti più nascosti consumano amplessi clandestini. Il servizio del titolo è quello offerto da chi, per qualche soldo, si presta a spinte prestazioni sessuali.
Tutto avviene nel buio di una sala, ma l'evidenza di quel fenomeno e chiara in tutta la capitale delle Filippine. Ogni cosa è animata da private pulsioni sessuali, ma nel momento stesso in cui tutto avviene, si palesano i segni di una marginalità sociale molto più estesa.
Come succede sempre di constatare, Brillante Mendoza osa molto con la macchina da presa, e non solo perchè è solito mostrare cose disturbanti con irrisoria naturalezza, ma perché la muove senza preoccuparsi minimamente di veicolare l'attenzione di chi guarda con una propedeutica preparazione della messinscena. L'impurità che alberga in ogni singola inquadratura corrisponde a disarticolati piani di ripresa ottenuti facendo ampio uso dell'estetica della macchina a spalla. Lunghe carrellate a seguire e a precedere pedinano i personaggi lungo i corridoi e le scale del cinema, spazi disadorni che testimoniano anche antichi splendori, ma che intanto servono come mezzo di sussistenza per chi deve darsi alla prostituzione dei migliori valori per tirare avanti. Mendoza li penetra questi spazi fetidi, trasformando “Serbis” in un film dove gli odori e gli umori diventano tutt’ uno con una delle possibili rappresentazioni della marginalità sociale.
La famiglia Pineda tollera i "servizi" perché sa che non esiste alternative a questa irreversibile decadenza morale. Si fa lei stessa specchio di questa lenta regressione verso il basso, in ogni suo componente e nella maniera che a ognuno compete. Trasmettono solo film erotici perché solo questi possono garantirgli una quota sicura di clienti. Così come fanno finta di non vedere cosa avviene sotto i loro occhi altrimenti i loro occhi sarebbero costretti a fare molta strada per vedere altro.
Le turbolenze della famiglia si mescolano quindi con gli incontri fugaci che avvengono nella sala, per un caleidoscopio di sensazioni multiple che la regia disarmonica dell'autore filippino ci restituisce in tutta la sua fascinosa e disturbante alterità. Tuttavia, sullo sfondo della storia, tra i fumi di acidi e sigarette e gli odori di sperma e di piscio, emerge anche un omaggio fatto in punta di piedi ad un'idea ancora romantica di vivere il rapporto con il cinema. Perché, alle sequenze che ci informano dei malumori della famiglia allargata e dei metodi utilizzati dai serbis per acchiappare clienti, seguono quelle che ci portano in compagnia del proiezionista o lungo la rotta che conduce le mitiche pizze con la pellicola del film ad illuminare il buio della sala.
Il finale, insolitamente criptico per gli stilemi tipici di Brillante Mendoza, confermerebbe questo rapporto ricercato tra il modo verista di praticare la regia e le sensazioni varie e variabili generate dall’artificio cinematografico. L'ultimo frame mostra due uomini seduti sul marciapiede, ad un certo punto l’immagine si accartoccia alla maniera di una pellicola che sta prendendo fuoco. La realtà e la finzione coincidono nell’unicità dello spazio filmico. Così come la ricerca di tranquillità, la devianza sociale e la libertà dei corpi possono stare in uno stesso insieme ed entrare in corto circuito quando, sopra ogni altra cosa, a prevalere è lo spirito di sopravvivenza.
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