Regia di Edoardo Winspeare vedi scheda film
Va dato atto, anche in considerazione delle sue tre opere precedenti, al bravo Edoardo Winspeare di avere aperto una nuova via al cinema italiano: non c'è alcun dubbio che il talento creativo del regista salentino poggi su basi decisamente originali. Prendiamo quest'ultimo film: possiede uno stile e un meccanismo narrativo che hanno poco a che spartire con altri prodotti nazionali. Non credo di cedere alla sopravvalutazione affermando che, così come per gli Ozpetek, i Sorrentino o i Garrone anche per Winspeare si possa parlare di uno stile particolare piuttosto riconoscibile. La cosa più "carina" (e anche meritatissima) che si può dire di Winspeare penso sia che Edoardo riesce a mostrare in ogni sua opera un infinito amore per le radici culturali più lontane e profonde del suo Salento senza però mai scadere nel banale folklore. Nei suoi film si percepisce un recupero delle tradizioni arcaiche salentine senza che ciò implichi alcuna operazione di ripescaggio modaiolo o forzato, ostentandone anzi la vibrante attualità e il palpitare di sincera emozione. Occorre dire anche che in questa quarta opera da regista, si coglie un'evidente tentativo di rinnovamento nello stile e nelle scelte artistiche del nostro Winspeare. La svolta professionale si concretizza prima di tutto nella scelta -è la prima volta- di affidarsi ANCHE ad attori professionisti. Sono solo due, ma CHE attori. Donatella Finocchiaro e Fabrizio Gifuni sono in stato di grazia ed offrono qui forse le migliori intepretazioni delle rispettive carriere. Ma anche stavolta, intorno ai due attori di professione, pullula tutta una serie di volti "del popolo", di facce che non si dimenticheranno facilmente, non necessariamente
tutti attori presi dalla strada ma comunque visi che trasudano autenticità e concretezza. Il dramma rappresentato fonde una sorta di romanzo criminale che racconta una stagione intensa della malavita pugliese con una sofferta storia d'amore dalle radici antiche che, repressa per lunghi anni, ora si esprime esplodendo con forte intensità benchè in contrasto col buon senso e con le regole della Legge. L'amore contrastato e "proibito" è quello tra un giovane giudice e una sua ex compagna di giochi d'infanzia, che nel frattempo si è conquistata con la forza un ruolo importante nell'ambito malavitoso del leccese. Si parla di "Sacra Corona Unita" e di personaggi
che contribuirono a gettare le basi di un fenomeno criminale che nelle intenzioni avrebbe voluto collocarsi accanto a mafia e camorra, ma che in realtà poggiava su aspirazioni e sogni vagamente cialtroneschi che però creavano consenso perchè puntavano dritto al cuore dell'entusiasmo popolare (tipo: comprare Van Basten per consentire al Lecce di schiacciare l'odiato Bari). Ma nel film viene mostrata anche la crudeltà con cui le diverse anime della criminalità locale si fronteggiavano per affermare le rispettive supremazie e stroncare la concorrenza. E sullo sfondo di questo cupo e torbido scenario di guerre per bande e truculente rese dei conti, si fa largo questa incredibile figura di donna, Lucia, talmente sfaccettata e cangiante che si stenterebbe a crederla autentica. La Finocchiaro mette in scena uno splendido e difficilissimo personaggio, ricco di risvolti e sfumature, un vero banco di prova per la sua carriera d'attrice. Si tratta infatti di una donna che fin da bambina afferma con forza sentimenti da vincente e istinti di sopraffazione. Quella bambina, cresciuta, si accompagna ad uno spregevole balordo locale (un efficacissimo Beppe FIorello), da cui ha un figlio, e successivamente si affida alla protezione di un potente boss anziano venerato da tutti come un "padrino": insomma Lucia fa tutti i passi necessari per espandere la propria influenza in ambito malavitoso. Ma poi accadono cose, cui accennerò solo sommariamente, che concorreranno a far vacillare la "potenza di fuoco" di questa donna. Innanzitutto muore un suo amico d'infanzia a cui era molto affezionata e -soprattutto- si materializza dal passato un giudice (l'ottimo Gifuni), che per lei da bambino si era preso un "cotta" infantile che però non ebbe mai un'evoluzione concreta. La storia è narrata con momenti di forte intensità, resa dalla Finocchiaro con una forza drammatica a tratti devastante. Per chi ha visto il film, mi permetto di fare un paio di osservazioni: Beppe Fiorello è straordinario nel rendere palpabile la fisicità di questo piccolo balordo da strapazzo, cialtrone e fesso. Ma quello che più mi ha indotto dubbi e perplessità è il personaggio di "Zà" (Giorgio Colangeli): mi sono chiesto infatti come diavolo è possibile che un uomo così insignificante possa diventare una sorta di "mammasantissima", rispettato e venerato come un cardinale. Dopo questa prova così riuscita, ora dobbiamo attenderci da Winspeare un prossimo film grandioso. Ed è curioso notare come -dopo Gomorra- il cinema italiano esprime il suo talento migliore quando indaga le organizzazioni criminali (e volendo si potrebbe includere nel discorso anche "Romanzo criminale"). Sacra Corona Unita, Camorra, Banda della Magliana.Il peggio del peggio dell'Italia e i peggiori italiani di sempre: che siano il materiale più cinematografico di un'Italia da raccontare?
Voto: 8 e 1/2
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