Regia di Edoardo Winspeare vedi scheda film
“Vanno vengono ogni tanto si fermano e quando si fermano sono nere come il corvo sembra che ti guardano con malocchio”: sono le parole di una poesia con cui Fabrizio De André faceva cominciare un immenso suo disco, dal titolo “Le nuvole”. Sembrerebbe che anche Edoardo Winspeare si sia ispirato a questa poesia di Fabrizio. Il cielo e le nuvole, il regista talentino sceglie come ‘punto di vista’, per raccontare la sua stessa terra. Ora vista da lassù, poi concretizzatasi negli uomini e nelle donne, che insieme fanno i Galantuomini.
Il film, presentato al Festival del Cinema di Roma, non solo ha permesso di vincere un importante premio alla straordinaria attrice, e qui all’apice della sua bravura, Donatella Finocchiaro, ma continua a riscuotere ampi consensi fra il pubblico (ovunque risulta che si fa la fila al cinema, in questi giorni, per i Galantuomini) e la critica.
Ambientato nei primi anni Novanta, la storia mette bene in mostra l’escalation criminale della Sacra Corona Unita in Puglia. Nella terra degli ulivi, del sole e del mare, le cosche si contendono il territorio e portano avanti una guerra di mafia sanguinaria. Carmine Za’ gestisce i suoi affari dal Montenegro, delegando il controllo della sua zona ad una donna della mala, Lucia. Quest’ultima porterà avanti il suo lavoro con la dovuta ferocia fino a quando l’altro boss, Barabba, non tenterà di conquistare, riuscendoci, il suo territorio. Dopo una strage dalla quale esce viva, Lucia non trova altro di meglio da fare che rifugiarsi da Ignazio, suo amico di infanzia, ora magistrato antimafia.
Finalmente, non più il racconto di una terra tutta ‘allievi, ricci e cozze di mare’, fra cognati e ‘cape che girano’, al ritmo di pizzicate e tarantolate. Winspeare, dotato di un talento visivo impressionante, mette in primo piano l’infanzia di una terra che non è più. Ha smesso la sua innocenza. Il regista del non riuscito Il Miracolo (2003) mette in atto una storia contaminata dall’amore per la legge e le regole dell’amore. A vincere sarà la passione di chi rimane abbandonato in una terra, quella leccese, ch’è una finestra sul mondo: è qui che “finisce l’Italia e inizia il mondo”. A Nord di essa tutto il resto del mondo, ed in esso le città come Milano, in cui “di bello c’è una cosa sola: il treno per Lecce”. C’è una sorta di riappropriazione del territorio, la rivendicazione di un legame fra un Paese che si vuole sempre più diviso in Nord e Sud. Perciò si festeggiano le ultime feste, ma in lacrime, con tanto di spari. In cielo non più nuvole, ma fuochi che consumano l’artificio di storie impossibili, proprio come quella fra una criminale e un uomo della giustizia.
Eccellente la prova attoriale di Donatella Finocchiaro, che non ne sbaglia una (l’avevamo già notata in ruoli simili in Angela e Sulla mia pelle), accanto ad un’ottima e riuscita interpretazione di Fabrizio Gifuni e di Beppe Fiorello. Anche Giorgio Colangeli dà prova della sua grandissima espressività, del tutto naturale, peccato che sia poco presente sul grande schermo, a differenza di tanti altri, che invece, si vorrebbero per sempre confinati nella scatola casalinga. Grande merito alla fotografia di Paolo Carnera, capace di rendere algidi i ricordi, perché in conflitto con una terra che non ha più gli stessi colori e sapori dell’infanzia.
Giancarlo Visitilli
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