Regia di Joby Harold vedi scheda film
Dopo una prima parte in cui vengono presentati i personaggi e si delineano i loro rapporti, la pellicola di Joby Harold si trasforma completamente. Dal momento in cui Clay entra in sala operatoria e viene sottoposto ad anestesia, il film prende una svolta visionaria che il regista non riesce a gestire in maniera adeguata finendo per perdersi in una dimensione filmica grottesca e confusa. Il regista parte da uno spunto narrativo molto interessante: esistono dei casi in cui il mix di medicinali usati per l’anestesia non ha l’effetto dovuto. Il corpo si immobilizza ma il paziente rimane cosciente. Centrata su questa idea la storia poi viene divisa in tre atti. Il primo di presentazione, il secondo che riguarda l'esperienza della "anestesia cosciente” e il terzo che riorganizza i primi due in una struttura da giallo, quindi rielaborando i dati precedenti in una nuova ottica che farà vedere sia la storia narrata fino a questo momento, sia i personaggi, da un altro punto di vista. Il problema è che la parte centrale si sfalda nella sua stessa ambizione di essere un flusso continuo di pensieri del protagonista. Per mostrare l’esperienza dell’anestesia cosciente il regista utilizza vari strumenti filmici: la voce off del protagonista, che invade lo schermo con una serie di espressioni che (causa il doppiaggio italiano?) diventano involontariamente ironiche e il montaggio alternato dei ricordi del protagonista, brevi flash della sua ragazza, di sua madre, della morte del padre, in una sorta di autoipnosi che dovrebbe portarlo lontano dal dolore che sta provando durante l’operazione ma che in realtà crea una confusione visiva che non riesce a trasformarsi, come si diceva, in un flusso di coscienza. Al cinema una delle cose più difficili è trasformare in immagini quello che in letteratura è chiamato l’io narrante. E’ un'operazione complessa e richiede un'estrema abilità cinematografica per non far si che il tutto si riduca ad una voce off o over (quella di un narratore, solitamente) che ci racconti gli eventi della storia.
Gli elementi horror si riscontrano solo nei brevi inserti di immagini anatomiche che si intravedono durante l’operazione, per rendere partecipe lo spettatore del dolore provato dal protagonista. La forzatura dell’intreccio, il ribaltamento finale dei ruoli, gli inevitabili colpi di scena che servono per creare quel minimo di tensione narrativa che porti il film alla sua conclusione non bastano però a dare solidità ad una pellicola sempre sul punto di franare su se stessa. E infatti il film sfugge al controllo del regista, si dissolve nelle proprie ambizioni e termina con soluzioni narrative semplici e buoniste. La paura rimane sotto pelle. Senza riuscire a scuotere nervi e mente. In una anestesia dei sensi e del pensiero che almeno in questo caso sembra veramente funzionare.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta