Regia di Tomas Alfredson vedi scheda film
Dimenticabile.
Ho letto da più parti arringhe disperate da parte dei pasdaran della Buona Cinematografia che vorrebbero convincerci che questo non è un film horror, guai quindi ad aspettarsi un’opera di genere e rimanerne delusi, guai a commentarla come se fosse un horror convenzionale. Io dico: parliamone. Lasciami entrare non fa niente per non sembrare un film horror, ma fa di tutto per sembrare un film che dall'horror intende mantenere sussiegosamente le giuste distanze. Vero, al centro della speculazione del regista Alfredson ci sono la solitudine e il bullismo, temi di strettissima attualità, forse oggi più che allora. Alfredson ci distilla una realtà inospitale e fredda: in quest’ottica vanno visti l’ambientazione in un sobborgo di Stoccolma desolato e bianco di neve, il caravanserraglio di personaggi (specialmente gli adulti) tutti uguali e tutti anonimi, e la ruvida incomunicabilità reciproca che si sostanzia in quei micidiali silenzi del cinema nordico, sempre a metà strada fra il vezzo ideologico e la funzionalità narrativa. Temi nobili, nobile il tentativo di parlarne, mignottesco tutto il resto. Eh sì, perché dietro la fragile illusione di realismo crudo il film nasconde vampiri che succhiano il sangue (che hanno smesso di far paura dai tempi di Murnau, suvvia, aggiornarsi), nasconde improbabili autocombustioni alla Fringe, membra dilaniate, sangue (fintissimo) a profusione. I due universi, quello della mesta realtà solitaria dell’androgino Oskar, e quello immaginario e fasullo della vampira Eli, non si armonizzano perché è il film stesso che non vuole farlo, saltabeccando dal côté sociale a quello truculento con raro impaccio. Se non ci fosse un romanzo di partenza a negarlo, sembrerebbe che il regista abbia pensato agli inserti orrifici con il preciso proposito di far parlare del film (che altrimenti, chi se lo sarebbe filato?). Praticamente noi assistiamo a due film, uno in cui il protagonista è Oskar, e l’altro in cui la protagonista è la vampira. Due film che rifiutano di parlarsi e interagire fra loro. Il patetico finale è l’ultimo improbabile espediente che il regista azzarda per avvicinare i suoi due protagonisti, chiaramente fallendo nell’ardimentoso cimento.
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