Regia di Tomas Alfredson vedi scheda film
Dall'omonimo romanzo di debutto dello svedese John Ajvide Lindqvist (lo Stephen King europeo) la storia d'amore e d'amicizia di due (pre)adolescenti outsiders, un ragazzino con zazzera biondissima e lineamenti gentili che quasi tradiscono la sua appartenenza al genere maschile, vittima inerme e silenziosa dei soliti bulletti della scuola, ed un'esile fanciulla, capelli scuri ed una bellezza da rintracciare nel bagliore dei suoi grandi occhi grigio-azzurri e in istantanee, fugaci espressioni del viso. Sono incompatibili biologicamente -il primo è umano, la seconda vampiro- ma 'simbiotici' per comune sentire. Saranno l’una il completamento dell’altro. Lei aiuterà lui a ribellarsi e liberarsi dalla sua condizione di giovinetto vessato e frustrato, lui accoglierà lei nel suo mondo umano, lasciandosi alle spalle ogni sorta di paura e pregiudizio.
I toni dimessi della quotidianeità, i tempi dilatati, la lentezza cadenzata del racconto ammantano di fascino magnetico questa pellicola horror decisamente atipica, di essenziale cupa e raggelata bellezza. I dialoghi scarni si vestono di potenti preziosi significati, mentre le atmosfere ricercate e la fotografia limpida ed algida, costruita sul contrasto del bianco accecante della neve con il nero pece di un'oscurità quasi permanente, governano un giro di vite semplici, anonime, collocate in un tempo e luogo indefiniti e sospesi, che il manto nevoso soverchiante contribuisce a rendere ancora più remoti. Lontani. Isolati. Irraggiungibili.
Il regista predilige il punto di vista del piccolo protagonista, inquadrandolo nei suoi spazi (ben definiti) entro i quali, abitualmente, si muove; lascia invece in penombra le figure adulte o le riprende da lontano e di sfuggita quando si trovano ad ‘interferire’, interagire con il suo microcosmo (genitori, insegnanti), sottolineando così, in pochi quanto eloquenti fotogrammi, quella distanza invisibile eppur presente, incolmabile, che li separa.
In Lasciami entrare il senso della morte/perdita è perenne e palpabile. É un’opera intrisa di profonda tristezza, capace di essere feroce cruda e crudele e al tempo stesso tenera toccante e commovente. Esprime con accorta sensibilità il mal di vivere (anche) a 13 anni. E il disorientamento, la mancanza di riferimenti forti, la paura mista a curiosità propri di chi sta affacciandosi al mondo per la prima volta con sguardo consapevole. Ed ancora, il senso di inquietudine e di immensa solitudine, il desiderio di appartenenza a qualcuno (o qualcosa) che passa per il bisogno primario di essere se stessi e contemporaneamente rispecchiarsi in un altro, con cui poter condividere il faticoso cammino dell'esistenza, o almeno un pezzo di esso.
Straordinario, originale racconto di formazione; favola nera che, senza retorica e didascalismi, invita alla tolleranza, all'accettazione del diverso ma, soprattutto, di quelle peculiarità soggettive che rendono unici e differenti dai propri simili. Sprona a guardarsi dentro, ad abbracciare con convinzione, senza temerle, le scelte di vita che verranno, anche se incomprensibili alla stragrande maggioranza della gente. E inaccettabili. Anche se drastiche e dannatamente dolorose.
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