Regia di Aleksej Balabanov vedi scheda film
Nel 1984, in un’Unione Sovietica che sta per implodere per via di un socialismo reale che ha deluso tragicamente i suoi sogni e per un silente ma incipiente liberismo in via di maturazione, il docente universitario di ateismo scientifico Artem dialoga con il fratello alto ufficiale Mikhail, rappresentanti entrambi di una tradizione che, nonostante gli sforzi, sta per precipitare in un vuoto senza più ideali. Durante il viaggio di ritorno a Leningrado, il docente, per un guasto alla macchina, è costretto a cercare soccorso, e si imbatte in una casa sperduta nei campi, in un’atmosfera greve. Entrato nella casa, si ritrova ad essere accolto da una famiglia produttrice di vodka, il cui capofamiglia Aleksey si presenta come un fervido religioso. Inizia un dibattito filosofico sul filo del rasoio: l’uno rappresentante di una religiosità totalmente alienata e annegata nell’alcool, l’altro ripetitore ossessivo del più becero marxismo del Diamat. Un dialogo se vogliamo a tratti anche ironico, con richiami impliciti a Dostoevskij e a Bulgakov, dai quali emerge come l’ateismo renda lecita qualunque cosa, e come solo la presenza di un Dio creatore può spiegare quella parola che costantemente usiamo e che si chiama anima.
Dopo che l’aiutante vietnamita della famiglia ha aggiustato la macchina, il professore riparte ubriaco; un attimo dopo la sua partenza, arriva in quella casa un giovane, Valera (che poi sarebbe il fidanzato della figlia dell’alto ufficiale), che pensa solo ad arricchirsi e rifornirsi d’alcool, portando con sé, e sbaciucchiandola, una giovane amica, Angelika, figlia del segretario regionale del partito comunista. Valera e Aleksey iniziano a ubriacarsi fino a svenire, mentre Angelika viene violentata con un cono di bottiglia da un capitano della polizia, presente nel luogo, di nome Zhurov, che ha un conto in sospeso con Aleksey, reduce dalla galera. Prima di violentarla, e per non avere testimoni a sua carico, fa fuori con un colpo di fucile l’aiutante vietnamita. Porta poi con sé la giovane donna a casa propria, presentandola come moglie a sua mamma, persa nella demenza. Zhurov, inoltre, per depistare ogni traccia sul suo conto, avvisa la polizia dell’omicidio, facendo così arrestare Aleksey, mentre Valera nel frattempo è riuscito a scappare dalla casa degli orrori.
La generazione che rappresenta il comunismo della tradizione non sa che fare: l’alto ufficiale è preoccupato per sua figlia che non sa notizie del suo fidanzato Valera; il professore, tornando a casa, nota l’arresto di Aleksey ma viene a sapere dalla moglie di lui che il vero omicida è un capitano. A sua volta il padre di Angelika, segretario del partito comunista, denuncia la scomparsa di sua figlia proprio al capitano Zhurov, che guarda caso ha cosi l’opportunità di manipolare a suo modo le due indagini in corso, perché è di fatto l’omicida del vietnamita ma anche l'autore del rapimento in casa propria di Angelika, che resta legata al letto del suo appartameto. In questo modo, dopo un regolare processo, Aleksey resta in carcere per omicidio del vietnamita, ma viene giustiziato a sangue freddo per mano di Zhurov, con la sordida obbedienza dei suoi sottoposti.
Incaricato inoltre di fare gli onori ai caduti dalla guerra in Afghanistan, che ritornano con aerei appositi (Cargo 200), ha l’occasione di appropriarsi, sempre con la supina obbedienza dei suoi sottoposti, della salma di un ufficiale, che è il fidanzato della stessa Angelika, costringendola quindi ad essere violentata da un altro galeotto liberato per l’occasione in presenza del cadavere del suo uomo, dopodiché Zhurov uccide anche il galeotto.
Vediamo così un’Angelika, figlia del segretario del partito comunista, legata con un polso al letto della casa del capitano Zhurov, completamente nuda, umiliata, attorniata da due cadaveri, che sono quelli di un galeotto e del suo fidanzato, di fronte al voyeurista Zhurov, che per essere precisi è quanto meno uno psicopatico sessualmente represso, dal momento che non è mai riuscito a violentare la giovane donna direttamente, con il suo proprio organo genitale.
Nel frattempo il docente, forse costernato del fatto di non aver potuto fare nulla per salvare l’innocente Aleksey - e di fronte alla moglie di quest’uomo, Antonina, che si limita a dirgli che è un bene che il Signore si porti via gli umani da questa vita affinché non commettano altri peccati - decide di dare una svolta alla sua esistenza, e cerca riparo in una chiesa per attendere un sacerdote che finalmente lo battezzi.
Il puzzle termina con la vendetta di Antonina, che armatasi di fucile entra dritta nella casa del capitano e lo fredda con un colpo di proiettile, lasciando Angelika sbigottita legata al suo destino. Nella scena finale, con la sua maglietta con su la scritta PCUS oramai ridotta a semplice gadget, vediamo il giovane Valera in cerca di un socio, altrettanto giovane, per tirare su business.
Una trama avvincente, piena di colpi di scena, una commistione di Tarantino e di un certo Haneke, con scene che vanno dal realismo più crudo e cruento, per virare nel grottesco se non addirittura nel macabro quasi necrofilo. Certo la storia è enfatizzata fino all’estremo, con troppe simmetrie e alcuni mancati passaggi, ma tutto serve per definire un complicato snodo della storia russa, in quel momento intricato e complesso quando il socialismo reale stava per implodere e le nuove generazioni iniziavano a cavalcare, sprovveduti, le promesse del neoliberismo del mondo occidentale. Qui nessuno si salva. Non si salvano i vertici del sistema, che a ben vedere non sono tratteggiati per la loro tirannia, ma per la loro impotenza burocratica e indifferenza, che poi sconfina, come sempre, con quella banalità del male, che è sempre frutto di un ingranaggio spersonalizzato. Non si salvano i giovani, che non avvertono nessun moto di rifiuto o di resistenza o di contrapposizione morale al sistema, ma come avvoltoi approfittano del suo sfacelo per solcare le opportunità di nuove soverchierie del mondo globalizzato. Tutti sono complici di un sistema che ha estenuato la loro esistenza, insabbiandone la dignità morale. Con un ritmo fin troppo simmetrico e calibrato, la pellicola va dritto, saltando qualche passaggio qua e là, fino all’insostenibile, incurante se possa piacere o non piacere, ma restituendoci in una forma parossistica uno snodo storico i cui effetti sono ancora operanti.
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