Regia di James Gray vedi scheda film
Dio mio! un intero minuto di felicità! È forse poco, sia pure in tutta una vita d’un uomo? Così si conclude – nella traduzione di Giovanni Faccioli – il racconto lungo di Fiodor Dostoievski Notti Bianche. (ed. Rizzoli-BUR, 1957).
La celebre opera letteraria ha ispirato un numero grande di film. Alcuni ne riprendono il titolo, come il più famoso, quello del 1957 – Le notti bianche – di Luchino Visconti con Marcello Mastroianni, Maria Schell e Jean Marais*.
Altri, pur senza quel titolo, mantengono vivo il senso dell’affermazione conclusiva: la felicità pura, quasi sempre inattingibile e di brevissima durata, se raggiunta, diventa il più valido aiuto a ritrovare equilibrio e serenità nel vivere quotidiano.
In questo bel film, l’ispirazione dostoievskiana, apertamente dichiarata da James Gray, è filtrata attraverso l’ottica della comunità ebraica newyorkese a cui appartiene la famiglia di Leonard (Joaquin Phoenix), giovane sulla trentina, aspirante fotografo, che vive ancora con i genitori e si accontenta delle mance e dei compensi che gli arrivano per le consegne a domicilio dei capi lavati e stirati nella tintoria del padre Ruben (Moni Moshonov).
Sul giovane pesa un passato difficile e la fine di un amore: sui suoi polsi si vedono le tracce di un tentato suicidio (ma ci riproverà), seguito da lunghe cure psichiatriche, dalle quali era uscito ancor più sofferente e insicuro, ciò che spiega l’ansia della madre Ruth (Isabella Rossellini), sempre attenta a controllare la continuità delle cure per contenerne la “bipolarità”.
Il futuro di Leonard appare segnato: il padre stava da tempo trattando per vendere la tintoria all’amico e socio in affari, padre della bella e dolce Sandra (Vinessa Shaw), già innamorata di lui e dai modi teneri e accoglienti: la moglie che gli ci vorrebbe!
È difficile, però, vivere e progettarsi quando ci si sente soffocare per troppa protezione, soprattutto quando sulla propria strada si incrocia, per caso, una come Michelle (Gwyneth Paltrow), la vicina di casa, “incasinata” in un pasticcio amoroso, che sta fuggendo dall’ira di un padre autoritario e violento.
il film diventa presto il racconto del loro brevissimo “amore” impossibile: l’educazione apertamente autoritaria (nel caso di Michelle) o, che è lo stesso, quella iperprotettiva (nel caso di Leonard) induce i due giovani a scegliere, per il proprio futuro sentimentale, una situazione che in qualche modo sostituisca la rispettiva condizione familiare o perché sarà la proiezione dell’immagine del padre che si sarebbe voluto (l’amante di Michelle è certamente una figura paterna capace di garantirle sicurezza e affetto), o perchè riprodurrà esattamente il ruolo protettivo familiare (che solo la tenera Sandra potrà offrire a Leonard).
I due giovani in realtà sono simili e si rispecchiano l’uno nell’altro, cosicché la reciproca attrazione molto deve anche allo speculare riconoscersi nella rispettiva debolezza e fragilità. È significativo che i due si amino, per una sola notte, al buio, senza che si siano “visti”, così come Leonard dirà a Michelle, ciò che io intendo non solo che nessuno dei due conosce il corpo dell’altro, ma che non si conoscono affatto. I segreti di lui, non a caso, sono noti solo a Sandra, capace forse di cancellarli col suo amore paziente e la sua dolce sensualità.
In questa situazione a Leonard e Michelle non resta che il sogno velleitario di un futuro insieme, che non hanno possibilità di realizzare davvero.
Aggiungo che Il film presenta, a mio avviso, una duplice ascendenza letteraria: quella dostoievskiana di Notti bianche – e non solo – e quella, a mio avviso almeno equivalente, di Philip Roth, con le sue famiglie soffocanti e con quelle madri avvolgenti e opprimenti per troppo affetto, quelle che ascoltano nascostamente le telefonate, quelle che sostano persino davanti alla porta del bagno…
Siamo in pieno Lamento di Portnoy, la cui sfortuna – dirà Natalia Ginzburg – è di avere una madre insopportabile, e di non riuscire a sopportarla..[…] Essa è veramente insopportabile. Rossa di capelli […] essa occupa l’universo di Portnoy e vi infuria …con la sua ossessiva, infernale e insieme innocente persecuzione materna. Innocente perché, pur provocando disastri, non saprà mai e non capirà mai di averli provocati…
Film bellissimo,coinvolgente, arricchito da molte citazioni cinefile, dalla bella colonna sonora e dalle meravigliose interpretazioni degli attori.
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* Versione attualizzata agli anni del dopoguerra e girata interamente nel Teatro 5 di Cinecittà dove si ricostruirono con molta cura alcuni ambienti di Livorno che il nostro regista aveva ritenuto i più adatti a restituire l’atmosfera del racconto russo, che si svolge nelle viuzze e nei vicoli della vecchia San Pietroburgo.
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