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Blindness

Regia di Fernando Meirelles vedi scheda film

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La recensione su Blindness

di Enrique
7 stelle

Una micidiale pandemia diffonde il panico fra l’anonima popolazione di una metropoli che (pur’essa) non ha un nome e che non porta segni distintivi. Una pandemia che fa molte vittime, trasformando gli infetti in inutili ciechi da recludere come appestati ed abbandonare a loro stessi. Ma la brillante sceneggiatura (tratta da un soggetto forse ancora più brillante; l’omonimo romanzo di J.Saramago) non munisce il film della veste di mero disaster movie, né di quella di un sottogenere horror sulla sopravvivenza in una società di famelici umanoidi. E non è un dettaglio da poco. L’osservatore esterno (lo spettatore) non si cala, dunque, solo nei panni del superstite che deve tentare di sopravvivere in condizioni proibitive, né solo in quelli di un fuggiasco che deve fare i conti con la minaccia delle “abominevoli”, indistinte creature che lo circondano (in effetti, solo la ragione consente di sceverare dei poveri malati dai paurosi zombie che popolano gli horror movie di cui sopra). Si cala, bensì, nei panni di entrambi. E la sensazione è, al contempo, affascinante e sgradevolissima.
Cristo redentore e tutti i Santi, d’altronde, sono anch’essi ciechi dinnanzi al male che dilaga. Ma quel che più conta è, quantomeno, la presenza di una guida sicura (in carne ed ossa), con il dono della razionalità e capace di dimostrare tutta la sua generosità finanche con un bel paio di forbici in mano…

 

(Anche) il cinema ha il grandissimo pregio di poter solcare sentieri inesplorati. Di raccontare storie “incredibili” (nel senso letterale del termine) e, pur tuttavia, storie che parlano di noi (di noi uomini come singoli o come parte di qualcosa di più grande); storie che parlano dei nostri mali. Blindness si fa carico di quest’onere e dimostra di essere cinema autentico; perché è un cinema che sperimenta nuovi sentieri di indagine sociologica; sentieri che si avventurano nella selva della vita dell’umanità e che, purtroppo, si rivelano sempre più angusti… e tetri. Da un (penoso) quadro clinico all’altro, la cecità diagnosticata nel film parla di tutti noi e di un altro tipo di cecità. Blindness, così, “apre gli occhi” sulla condizione della vita umana. Una condizione tale per cui, benchè annullate le disuguaglianze sociali; benchè ristabilita la parità sociale e riportati tutti ai blocchi di partenza per un nuovo inizio, questo ha pur sempre il sapore della maledizione, atteso quanto segue dopo, ineluttabilmente: (ovvero) il dramma esistenziale della solitudine dell’uomo, che vive come un’isola, per quanto profondamente immerso fra le macerie della civiltà del suo tempo. E costretto ad “immaginare” i propri simili come dei concorrenti di una grande gioco a premi (che, però, mette in palio la stessa sopravvivenza). Verrà il tempo - finanche per i (pochi) vincitori (N.d.R.) - di dover fare i conti con la propria coscienza (alan smethee).

City of God (dello stesso regista - Fernando Meirelles - specializzato in trasposizioni cinematografiche di romanzi) rimane nettamente una spanna sopra, ma (anche) questo film ha le carte in regola per intrattenere e far riflettere. Il che non è affatto poco.

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