Regia di Francesco Munzi vedi scheda film
Avevo quasi deciso di "disertare" questo film per motivi non legati a valutazioni artistiche ma bensì per piu banali ragioni logistiche (lo proiettano in un'unica sala del centrocittà che mi è problematico raggiungere e che dunque frequento molto di rado). Ma poi sono tornato sulle mie decisioni sollecitato dal coro di apprezzamenti positivi riservati alla pellicola dalla stampa al completo. Addirittura c'è chi ha scritto che la visibilità che il film avrebbe meritato è stata purtroppo oscurata dalla quasi contemporaneità delle due trionfali opere di Sorrentino e Garrone, e che comunque questa pellicola va collocata idealmente accanto a "Gomorra" e "Il Divo"per lo sguardo coraggioso ed intenso che il regista lancia sulla realtà quotidiana dell'Italia (diciamo genericamente "padana"). In questo senso devo dire che dissento da tanto entusiasmo: non che sia un brutto film, anzi è aperto al dubbio e alla riflessione il modo in cui il regista Munzi osserva i suoi tormentati protagonisti di un'Italia tutto sommato parecchio infelice dove il vero "malessere" pare proprio essere la conseguenza del "benessere". Il regista a mio avviso doveva essere piu' vivace, lasciare un'impronta personale, e non limitarsi a ritrarre un quadretto che già conoscevamo. A tratti si ha l'impressione di assistere ad uno sceneggiato televisivo (gran brutto segno quando si ha questa percezione...), cioè di vedere rappresentata una storia i cui tragici sviluppi finali sono prevedibili fin dall'inizio. Abbiamo una tipicissima (pure troppo) famiglia agiata del Nord Italia operoso, contrapposta al mondo di chi è condannato a vivere di espedienti e cerca qualcosa che gli permetta di "svoltare", non importa con quali mezzi, perchè chi è disperato e violento non ha troppo tempo per definire "codici morali". Quest'ultimo universo, quello di canaglie che una vita spesso al limite ha "incanaglito" sempre di piu', è raccontato con molta sensibilità da Munzi, utilizzando personaggi dotati di psicologìe elementari ma forti e suggestive. Discorso molto diverso per l'altra famiglia, quella benestante, in cui vengono profusi elementi retorici e luoghi comuni a non finire. D'accordo, queste famiglie di ricchi/depressi esistono e probabilmente sono proprio così, ma qui rischiano di apparire "caricature". C'è proprio bisogno che Munzi ci racconti che questi borghesi ricchi sono ossessionati dall'idea che "qualcuno porti via loro qualcosa"? Sono concetti banali e risaputi, di cui abbiamo riscontro ogni volta che ci capita di passare davanti a certe ville circondate da cento telecamere e con cani ringhianti dietro ogni cancello. E c'era proprio bisogno che Munzi ci spiegasse che dietro ognuna di queste famiglie benestanti si agitano nell'ombra i fantasmi di malavitosi rumeni che aspettano l'occasione propizia per assaltarne le ville? Guardate che non sto facendo il cinico: la verità è che sono temi talmente controversi ed ardui da affrontare (la legalità, la sicurezza...) che francamente vedere tutto ciò rapresentato da questi "personaggini" e quasi in chiave di "fiction tv" mi infastidisce un pò. In pratica Munzi ci mostra un piccolo malavitoso del nord che si unisce, nel progetto di assaltare una villa, a due fratelli rumeni disperati e in cerca di "occasioni". Il regista cerca naturalmente di umanizzare al massimo questi violenti balordi, raccontandone i drammi famigliari, gli amori, le speranze frustrate, i progetti per il futuro. Anche se io credo che "umanizzare" troppo chi vive di reati sarà anche romantico e vincente sul piano letterario, ma mi convince poco se lo collego un attimo alla realtà. Ma dove tutto il discorso crolla (e scusate se mi ripeto) è nel proporre a proposito della famiglia benestante il seguente repertorio di banalità: hanno la domestica rumena; la sera vanno a vedere l'opera con l'abito elegante; hanno una figlia adolescente che non li sopporta piu'; lui ha un'amante (molto piu' giovane di lui -ça va sans dire- e comunque bisogna capirlo, con quella moglie che si ritrova!) con cui si comporta da vigliacchetto che non si decide a scegliere; lei (la moglie) è nevrotica e annoiata, ha mille ossessioni e avrebbe bisogno davvero di uno psichiatra e poi (diciamocelo) è una gran rompicoglioni. Insomma: una coppia discretamente stronza. Ma mi sorge un sospetto: e se il regista avesse voluto mostrarcela così per dire che sotto sotto anche il nord operoso cela le sue magagne e nasconde l'infelicità sotto il tappeto? Accidenti che messaggio originale, acuto e sorprendente! Ed ecco a voi la sintesi morale del film, che potete trovare (piu' o meno uguale) in fondo ad ogni recensione, sia cartacea che in rete: il regista non salva nessuno, tutti -poveri o ricchi- hanno i loro problemi, e se c'è una flebile apertura alla speranza, questa è affidata agli adolescenti. Già, appunto, i giovani, che in questo film sono rappresentati dalla figlia della famiglia agiata (un ritratto piuttosto superficiale di 15enne d'oggi, ma sufficiente a mostrarne la distanza dalle miopi grettezze degli adulti), e poi il giovane fratello del rapinatore, prima solo rabbioso verso quella società che lo mantiene nella miseria, poi come galvanizzato all'idea di debuttare operativamente nel crimine, ed infine (impietosamente seguito dalla macchina da presa) mentre si abbandona ad un pianto convulso e lacerante che pare ribadire che "nessuno uscirà vivo da qui". Con questo film ho poi un piccolo problema in piu', anzi due, e hanno nomi e cognomi: Sandra Ceccarelli e Valentina Cervi, due attrici che ho sempre sopportato a fatica (soprattutto la seconda!). A questo punto, come mi succede quando sono un pò severo nei miei giudizi, sono anche un pò pentito di avere bastonato questo film, per cui vorrei in conclusione cercare di chiarire il mio pensiero. Tecnicamente il film di Munzi non è poi così male, funziona, ma quello che mi fa specie è che su un tema così attuale si faccia un film che non fa altro che mettere in scena ciò che sta davanti (e dietro) ai ricorrenti titoli sui giornali circa gli assalti alle ville. Da un regista, su un tema così caldo, dobbiamo pretendere un punto di vista, e non solo l'accomunare tutto e tutti sotto un'unica cappa di tragedia. Se posso fare un esempio da imitare, anche se col film in oggetto non c'entra, il regista brasiliano di "Tropa de Elite" ha messo sotto la lente un tema (la lotta ai narcotrafficanti nelle favelas) e lo ha rivoltato come un calzino, traendone spunti riflessivi originali, stimolanti, anche polemici. Cosa questa che Munzi non ha saputo -o voluto- fare.
Voto: 5
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