Regia di Olivier Assayas vedi scheda film
L'Heure D'Etè è uno straordinario pezzo di bravura registica e attoriale. E poco altro, purtroppo. Avrebbe potuto essere un racconto morale alla Rohmer o uno spaccato antropologico alla Kechiche, e invece è solamente un gradevole esercizio di stile. E' impressionante comunque la regia di Assayas, la sua mdp letteralmente invisibile, che ci fa sentire del tutto immersi nelle discussioni dei personaggi (sul dialogo è fondato il 95% del film). Quasi una versione soft degli psicodrammi familiari borghesi di Desplechin, senza però le sue tinte grottesche, L'Heure D'Etè lascia stupefatti per la naturalezza recitativa che il regista riesce ad ottenere da tutti i suoi interpreti (non solo la fuoriclasse Binoche). Dove delude il film è nell'eccessivo abbandono ad una vicenda molto meno problematica di quanto ci si aspetti: i tre figli di una artista discutono dell'eredità e solo uno di loro è contrario alla vendita della casa e delle opere d'arte. Ebbene, questi se ne fa una ragione e il risultato è che in 90 minuti di film non ci sono praticamente momenti di vero confronto acceso. Oltre a questo, Assayas non sa (non vuole?) cogliere le implicazioni simboliche e poetiche che il copione offriva: oltre allo scontro di caratteri, il rapporto fra arte e denaro, lo scorrere inesorabile del tempo, la condanna dell'oblio, la deperibilità degli oggetti (e degli affetti), gli effetti della globalizzazione sui rapporti familiari eccetera. Senza contare che la svolta "giovanilistica" dell'ultima mezzora è quantomeno pretestuosa (o comunque poco sviluppata). Resta un film godibile a pezzi, nelle singole sequenze, nelle cristalline pagine di naturalismo renoiriano che però non si innalza mai a critica di costume. Manca la poesia del quotidiano, manca quel "qualcosa da dire" senza cui anche la miglior regia resta superflua.
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