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Ladri di biciclette

Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film

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La recensione su Ladri di biciclette

di Gangs 87
10 stelle

Roma, secondo dopoguerra, dopo due anni di ricerca assidua, Antonio trova lavoro come attacchino. L’unica condizione per accaparrarsi il posto è avere una biciletta. L’uomo riesce a ritirare la sua bici dal banco dei pegni, in cambio delle lenzuola del corredo, che al primo giorno di lavoro gli viene rubata. Disperato, insieme al figlio Bruno, vagherà per Roma sperando di ritrovarla. Rassegnato però finirà per rubarne una.

 

Partendo dall'omonimo romanzo del 1946 di Luigi Bartolini, Cesare Zavattini, insieme allo stesso Vittorio De Sica, sviluppa il soggetto per quello che tutt’oggi viene considerato un capolavoro universale. Interpretato da attori non professionisti, la pellicola, che nel 1949 vinse l’Oscar come miglior film straniero, è una delle più importanti del neorealismo italiano.

 

De Sica, che stava ancora riprendendosi dall’insuccesso di Sciuscià, cercava un soggetto semplice che potesse conquistare il pubblico. Una storia che raccontasse il popolo e, a suo modo, anche banale, come può esserlo la disperazione di un uomo a cui viene rubata una bicicletta. Dopotutto a chi interessa veramente? Eppure Vittorio De Sica, con il suo modo di raccontarla, utilizzando il rapporto tra padre e figlio come filo conduttore che, soprattutto nel finale, si carica di significato ed emozione.

 

È impossibile dimenticare lo sguardo del piccolo Bruno che salva il padre dalla galera sicura grazie al suo pianto disperato, si fa protettore del genitore che sembra meno maturo del figlio poco più che infante; nella scena finale, attraverso quel suo sguardo rivolto al padre mentre gli porge la mano, cercando al contempo la sua, come ancora di salvezza dell’uno verso l’altro, ci regala una delle scene più potenti che il cinema possa ricordare.

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