Regia di Bent Hamer vedi scheda film
Per Horten (il valido attore Bard Owe, già visto al servizio di Lars von Trier) si avvicina l’ultimo fine settimana di lavoro come macchinista ferroviario. Lui non sogna di andare in Thailandia come i suoi colleghi, c’è qualcosa che lo lega indissolubilmente a quello che fa, non ama stare sotto i riflettori ed è isolato come le sterminate pianure norvegesi che vede dal locomotore.
Un’onorificenza lo attende, per il grado di esperienza raggiunto e per la sua devozione visti i 40 anni di servizio. Il momento della pensione è arrivato: cosa poter fare di tanto tempo a disposizione al quale, probabilmente, non era avvezzo?
Sembra che quasi tutto, nella vita, arrivi troppo tardi. Per Horten è in arrivo un vagare notturno tra aeroporti, saune, piscine, incontri casuali con personaggi bizzarri e/o saggi. Ritratti, quest’ultimi, con mano leggera e rappresentanti una collettività polimorfa e insolita. Troppe figure ed episodi slegati tra loro non contribuiscono a farci percepire univocità di messaggio, ma solo un apprezzamento estemporaneo. Il film sa essere anche spiritoso, fulminante (il “ciuff ciuuff” durante la premiazione, il quiz partecipe e appassionato tra i conducenti dei locomotori, l’imprevisto durante la cena al ristorante, i tacchi a spillo riparatori) e tenero (il “sequestro” di Horten da parte di un bambino).
Sarei stato maggiormente riconoscente verso la pellicola se avesse fatto l’operazione inversa, se avesse cioè dipinto quasi per intero la vita sempre uguale e monotona di Odd Horten (quella che si svolge di giorno). Se avesse insistito nell’incedere del treno attraverso le gallerie che si alternano sull’innevato paesaggio circostante, con andamento ed effetto ipnotico. Dalla sua macchina motrice Horten guarda, e non conosce, il mondo che lo circonda.
Così com’è, visto che si avventura in una serie di situazioni notturne da “Fuori orario” scorsesiano, è pregevole a tratti. Non sappiamo niente del passato di Horten (è sempre stato scapolo o è vedovo?). Si lascia troppo spazio all’intuizione dello spettatore e, in questo caso, non è un pregio. Alla fine, il modo col quale si avvicina (o fa ritorno?) al mondo reale, sa più di bisogno di una minestra calda piuttosto che di un vero affetto.
Rimane la bellezza mozzafiato di quel salto nel vuoto, di quella sconsideratezza capace di far capire che la vita vale la pena di essere vissuta alla luce del giorno, senza divise e con slanci sentimentali.
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