Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
La prima parte è un film di guerra, la seconda un thriller, ha detto la produttrice Laura Bickford che per dieci anni, insieme a Benicio Del Toro e Steven Soderbergh, ha praticato una guerriglia di sceneggiature e coproduzioni per riuscire a completare questa biografia cinematografica del simbolo più popolare della mitologia contemporanea della rivoluzione. In realtà, in entrambi i film, ciò che agli autori sembra stare a cuore è una ricostruzione nuda e concreta dei fatti. La strategia militare, la disciplina e la dedizione, il controllo e la diffusione delle informazioni: a Cuba, questo mix di fanatismo e intelligenza tattica porta alla rivoluzione. In Bolivia, alla morte. La giungla cubana e quella boliviana, più scoscesa e aspra, non sono così diverse grazie alla camera digitale che è diventato il sogno di ogni cineasta (la Red) e che si nutre quasi esclusivamente di luce naturale. Ma la scansione di noia e paura, il dilagare della solitudine, la voce in cui la raucedine camuffa la timidezza, il respiro fiaccato dagli accessi di asma, configurano sempre di più la sortita boliviana, che avrebbe dovuto accendere la rivoluzione nel cuore dell’America Latina, come un incubo che il Che vive insieme a Urbano, Benigno e Pombo. I militari allestiscono una caccia spietata come a un pericoloso predatore, i consiglieri yankee danno la linea e il Partito Comunista locale è il primo a sfilarsi dall’iniziativa (la divisione a sinistra, innanzitutto). Solo contro tutto il mondo. La seconda parte non è un thriller, è la Passione del Che. Tutto accade senza proclami o fanfare, sotto gli occhi inermi e remoti di campesiños vestiti da contadini e campesiños vestiti da militare. A cosa pensava il Che prima che un milite, volontario, entrasse nella baracca dove era prigioniero e gli piantasse tre colpi con il suo moschetto? Il film non lo dice e neanche Soderbergh, che finisce il tutto con uno struggente flashback del gruppo in nave, prima di raggiungere la meta, sferzato dalla salsedine. Anche lì, il Che è in silenzio. Sono i momenti più belli di entrambi i film, i silenzi che Del Toro riempie di immensità e mestizia.
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