Regia di Leos Carax, Joon-ho Bong, Michel Gondry vedi scheda film
Curioso, riuscito, diseguale (come sempre accade in questi casi) film collettivo che raduna tre fra i piu’ innovativi, singolari e sensibili registi in circolazione,e a cui fa da sfondo (piu’ che da protagonista), la grande, caotica, colorata metropoli nipponica.
INTERIOR DESIGN, del geniale folletto Michel Gondry e’ una fiaba moderna in cui due ragazzi in cerca di lavoro giungono in citta’ ospiti di un’amica nel suo angusto monolocale. Lui con approssimative aspirazioni registiche, trova un impiego saltuario come impacchettatore di regali, lei, piu’ pratica, si sente inadeguata verso ogni occupazione e nell’ udire l’amica che li ospita che si lamenta col fidanzato del fatto che non si schiodano da casa, soffre e si angoscia a tal punto da trasformarsi velocemente nell’oggetto piu’ utile che le viene in mente: una sedia di legno, che arredera’ il piccolo appartamento dell’amica e permettera’ alla donna di mantenere un piacevole contatto con le persone che piu’ ama. Senso di impotenza, incapacita’ di tener testa al ritmo competitivo della vita’ della capitale, capacita’ e forza di riscatto per una gradevole e bizzarra favola metropolitana.
MERDE segna un gradito ritorno: quello del geniale regista francese Leos Carax, che da tempo aveva fatto perdere le tracce e di cui si sentiva davvero la mancanza, pur essendo un cineasta piuttosto controverso e non certo adatto per tutti i palati (gia’ il titolo del suo mediometraggio ne e’ la conferma). Dalle fogne della citta’ fuoriesce improvvisamente un uomo deforme vestito di verde, orbo da un occhio, sporco e puzzolente che dapprima spaventa ed inquieta i passanti, poi comincia a lanciare candelotti di dinamite provocando una strage. Catturato dalla polizia, viene processato suscitando una vasta reazione mediatica che sfocia nell’intolleranza etnica, tra colpevolisti e assolutori del “mostro”. Quest’ultimo parla una lingua sconosciuta che solo un bizzarro e inquietante avvocato francese riesce ad interpretare; il verdetto non lascia scampo e l’uomo viene giustiziato, ma…. . Sgradevole come ci si aspetta, il film ha un effetto dirompente come spesso capita nelle opere del grande regista. Denis lavant sta a Leos Carax come Dominique Pinon sta a Jean Pierre Jeunet ed e’ gia’ dai tempi dello splendido Mauvais sang, anche lui come quest’ultimo, la personificazione del regista; cresce, invecchia, muta con il suo regista e in simbiosi con la sua carriera, per il momento davvero poco prolifica.
SHANKING TOKYO e’ affidato al geniale sud-coreano Bong Joon-ho, ed e’ un piccolo capolavoro di intensita’, incanto emotivo, struggente sensibilita’. Un uomo ancora giovane, frustrato dalla frenesia del vivere quotidiano, sceglie di isolarsi in una vita monastica all’interno del suo appartamento, e vive da dieci anni senza incontrare nessuno, leggendo, pensando, facendosi rifornire a domicilio di generi di prima necessita’, abitudinario nel ciclico trascorrere del tempo, preciso catalogatore e razionalizzatore degli spazi del suo microcosmo. Si concede una pizza il sabato, che ritira porgendo il corrispettivo senza guardare il corriere che gliela consegna. Un giorno pero’ un particolare tatuaggio sul braccio di quella che si rivelera’ una splendida fanciulla spingera’ l’uomo a guardarla in volto. Subito dopo un violento sisma scuotera’ ogni cosa e la giovane sverra’ ai suoi piedi. L’uomo la soccorre, la sfiora castamente in uno dei “bottoni” che porta tatuati al braccio, la giovane si sveglia e fugge.Folgorato dalla visione celestiale della ragazza, il protagonista ordinera’ pizze per cercare di rivederla, ma presto scopre con amarezza che la giovane si e’ licenziata. Con la potenza dell’amore trovera’ la forza di riaffrontare lo spazio e le insidie del mondo esterno e iniziera’ a cercarla; verra’ rifiutato, trovera’ pero’ nel suo braccio il tasto dell’amore e sara’ un nuovo terremoto… non solo di sentimenti. Stupendo e toccante come solo un magnifico regista come Joon-ho sa rendere.
In Tokyo! emerge in tutti e tre i registi una intensa voglia e capacita’ di narrare, una densa struttura e una complessita’ di avvicendamenti che avrebbero reso possibile anche tre lungometraggi distinti, quasi tutti di notevole livello.
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