Regia di Lucrecia Martel vedi scheda film
La visione opaca di una mistificazione del reale,di un insabbiamento che non lascia nulla al caso sono le cifre di una cultura del dominio che ha ripreso il controllo di una situazione che ha subito un lieve sbandamento,come il vezzo dei capelli tinti di una bella signora di mezza età che ritorna con rassegnata accettazione al suo colore naturale.
Distratta dal cellulare Veronica investe qualcuno, di certo un cane abbandonato ai bordi della strada. Comincia per lei un periodo di straniamento e alienazione dalla realtà che la porterà a confessare l'accaduto ai familiari; ma gli uomini di famiglia si prodigheranno in una dissimulata opera di normalizzazione che non lasci alcuna apparente traccia di sé.
I tentennamenti della silenziosa Veronica
Diciamolo subito, il film della Martel è un film implicitamente politico; lo è in quanto si addentra nel pantano sociale di una nazione (quella argentina) il cui carattere di stratificazione neocoloniale e velato autoritarismo persistono incorrotti sotto l'epidermide del maquillage democratico che ne avrebbe aggiornato i connotati dopo il sanguinoso periodo della dittatura Videla ma che evidentemente è il retaggio di una cultura della sopraffazione e della mistificazione storica che risale alla sua fondazione. L'apparente disorientamento della protagonista (una magnifica María Onetto) è quello di una scheggia impazzita nel cuore di una struttura familiare e sociale la cui solidità si fonda sulla stabilità delle sue relazioni (perfino le più inconfessabili) e sull'intangibilità del proprio status dominante, condiscendente verso qualunque forma di tentennamento etico e di fragilità emotiva, debolezze ben tollerate da una struttura patriarcale dove gli uomini continuano a mantenere sotto la propria imperturbabile tutela un mondo di donne indaffarate nelle cure domestiche o comunque impegnate nella libera professione. Lo straniamento di una donna in preda ai rimorsi della coscienza è reso quindi nella frammentazione percettiva di una realtà da attraversare in uno stato di trance, immemore delle proprie responsabilità di moglie e madre e incurante dei propri obblighi professionali, ma istintivamente legata ad affetti cui abbandonarsi in una tacita richiesta d'aiuto, in un'estremo tentativo di rientrare nell'alveo di un consesso familiare da cui non sa uscire e che non può e non vuole disconoscerla. Un mondo a due velocità quello descritto dalla Martel (la provincia di Salta), di una borghesia bianca di padroni affabili e prodighi e di una servitù indio che le gravità attorno in un'economia di sussistenza, di lavoretti appena retribuiti con abiti dismessi e profferte di cibo, di cui ci si accorge appena, di cui ci si serve al momento del bisogno, di cui è facile dimenticarsi nei frangenti più scomodi; ma è anche un mondo afflitto dalle degenerazioni fisiche e morali di cui cade facile preda questa casta di intoccabili, dalle affezioni epatiche dei ragazzi alla demenza senile della zia, dalle ambiguità dei rapporti carnali tra cugini alle morbose inclinazioni saffiche di ragazze indolenti. Un film dal coraggioso impianto formale quello della regista argentina (qui alla sua opera terza dopo La ciénaga e La niña santa), che trasferisce sullo schermo le destabilizzazioni emotive della protagonista in un gioco di prospettive e controcampi che privilegiano ambiguità indiziarie (le tracce sul vetro dell'auto incidentata sono orme canine o impronte di un ragazzo?), che favoriscono visioni speculari, che sfocano costantemente la figura delle vittime, che tracciano lo sguardo perso nel vuoto di chi ha smarrito le connessioni con il proprio mondo, alla ricerca di un punto di riferimento che solo la dolorosa accettazione di un compromesso operato per procura può restituire. La visione opaca, ma anche simbolicamente lucida di una mistificazione del reale, di un insabbiamento che non lascia scientemente nulla al caso sono le cifre di una cultura del dominio che ha ripreso agevolmente il controllo di una situazione che ha subito un lieve sbandamento, come il vezzo dei capelli tinti di una bella signora di mezza età che ritorna con rassegnata accettazione al suo ruolo subalterno ed al suo colore naturale. Nomination alla Palma d'oro al Festival di Cannes 2008 per un film che forse non è stato ben compreso dalla critica e che ha tra i suoi produttori anche Pedro Almodóvar.
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