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Synecdoche, New York

Regia di Charlie Kaufman vedi scheda film

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La recensione su Synecdoche, New York

di barabbovich
3 stelle

"Borges e Bioy Casares su pellicola, penso sia un film enorme. Diffidi dalle accuse di solipsismo/onanismo cerebrale", mi scrive un ragazzo il cui quoziente intellettivo è inversamente proporzionale alla sua capacità empatica. Decido così di vedere questo film "sospetto", giunto nelle sale con 6 anni di ritardo a seguito di un'astuta operazione commerciale che ha saputo sfruttare la commozione suscitata dalla prematura scomparsa del protagonista, Philip Seymour Hoffman. In cabina di regia c'è Charlie Kaufman, qui alla sua prima esperienza dietro la mdp: una garanzia per chi ama i contorsionismi cerebrali spogliati da qualsiasi forma di pathos. Non a caso, le sceneggiature di film da orchite come Essere John Malkovich, Confessioni di una mente pericolosa, Il ladro di orchidee e Se mi lasci ti cancello sono sue. La pretesa è sempre la stessa: quella di creare un cortocircuito che strapazzi la logica, scardini il flusso temporale e proponga un'estetica cubista imperniata sul rapporto tra realtà e finzione. Anche il meccanismo funzionale è sempre lo stesso: mettere le mani su un prodotto della mente. Ecco perché nei film di Kaufman c'è sempre qualche scrittore, sceneggiatore, imbonitore televisivo, cancellatore di ricordi. In Synecdoche è la volta di un regista teatrale ipocondriaco che chiede ai suoi attori di simulare le loro vite sul palcoscenico. In questa dialettica tesissima tra realtà e finzione, la vita prende forma dalla scrittura della sceneggiatura e viceversa nel perimetro di un gioco funereo costruito a scatole cinesi che sta tra Il curioso caso di Benjamin Button e il cinema di Jonze e Gondry. Nulla che, in questo delirio di onanismo cerebrale (mi perdoni il ragazzo geniale dell'incipit, ma proprio di questo si tratta), ricordi neppure lontanamente le grandi lezioni del passato fornite da Wilder (Viale del tramonto), Fellini (8 e ½), Bergman (Persona), Cronenberg (M.Butterfly), Lynch (Mulholland drive) e Jareki (Una storia americana). sul medesimo tema Qui la voluta confusione dei piani temporali, la rappresentazione dei falsi movimenti della vita, lo sperimentalismo onirico che trasuda boria sembrano essere le uniche preoccupazioni di una regia sciatta, monocorde, il cui scopo dichiarato pare essere quello di spiazzare lo spettatore, finendo invece, dopo avere esaurito le cartucce migliori al trascorrere della prima mezz'ora, con l'avvitarsi su se stesso.

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