Regia di Charlie Kaufman vedi scheda film
Opera di autocompiacimento che si crogiola in autocommiserazione da inizio a fine, pretendendo di offrire chissà quali sagge riflessioni esistenziali, e finendo soltanto per mostrare le fragilità mentali e la condizione di paranoia in cui persone come il regista si rinchiudono. Desolante e veramente raccapricciante da inizio a fine.
In tempi confusi anche idee confuse trovano seguito. Questo film ne è un esempio quasi manualesco. Una società in cui i bisogni principali sono agevolmente soddisfatti finisce per struggersi attorno al superfluo. Dal tempo libero, se non si è in grado di farne qualcosa di costruttivo, si generano mostri, paranoie e pensieri autodistruttivi. In generale, la paura. La New York dagli anni '80 in poi è stata il più grande simbolo cinematografico e sociale di questo disfacimento, che, al netto di giornate sprecate a inseguire ideali eteroindotti, genera vuoti pneumatici esistenziali. Il tentativo di colmarli andando "dall'analista", poi, è quanto di più newyorchese qualcuno potrebbe immaginare. A questo punto, il problema, non riconoscendone le cause, viene separato da esse, e trattato come un fenomeno a sè stante, meritevole di chissà quali studi e ricerche, e scoperte.
Synecdoche, avvalendosi del tormentatissimo Seymour-Hoffman, si pone ambiziosi traguardi morali e didascalici, che nei primissimi minuti di messinscena sembra perfino poter mantenere. Lo scopo sarebbe quello di far scorrere, come su un binario, vita, lavoro e senso dell'essere, scomponendoli e ricomponendoli nelle componenti essenziali, fino a coglierne l'analogia o perfino identità. L'artista come essere umano, che si vede diverso anche se diverso non è, e che ambisce a lasciare un segno dove ciò non sarà.
Il regista specula attorno alle speculazioni esistenziali individuali, avviluppando la narrazione di una cortina di pessimismo esistenziale irrisolto, che pervade dal primo all'ultimo tormento dei protagonisti.
Lo spettatore si interroga: genio o atroce sola? La seconda, prego.
L'opera è pretenziosa, ridondante e decisamente troppo prolissa. Ma questi sarebbero peccati quasi venali paragonati al resto. Il vero problema di fondo è che l'autore, evidentemente assai simile al protagonista, è talmente incentrato su di sè, da non riuscire a concepire alternative neppure allorchè si rapporta agli altri. Le premesse, infatti, sono tutte presuntuose e ottuse: ma chi l'ha detto che ognuno di noi sogni segretamente che non morirà, oppure che la sua vita farà la differenza, o che tutto sarà rose e fiori? Io non credo che questo sia il pensiero della maggior parte delle persone: da giovani, semplicemente (e giustamente!) viviamo senza coscienza di morte, che è troppo di là da venire per noi. Da vecchi, evidentemente, subentrano malattie, dolori, delusioni, magari anche noia... ma chi lo dice che tutti vorrebbero vivere per sempre? E quante persone, nella vita, hanno cercato e cercano solo il proprio posticino, senza dar fastidio? Forse sono attori e registi, che pensano di essere immortali, confondendo le opere e i personaggi con i loro autori. Ed è qui che casca l'asino: la profonda solitudine di chi sta su (in qualunque ruolo sociale) si riverbera nella costante infelicità e fragilità interiore.
Questo film, insomma, altro non è se non il manifesto dell'inconsapevolezza di chi vorrebbe spacciarsi (forse anche a se stesso) per guru o maestro di vita, solo perchè ha avuto in sorte di scrivere opere teatrali, anzichè dirigere film, e, invece, è uno dei più bisognosi di aiuto per tirare a fine giornata senza farsi ingoiare dai propri demoni. Demoni che generano allucinazioni, proprio come queste case in fiamme, queste oscenità famigliari e forzature di vario tipo.
Insomma, chi ha osannato l'opera per l'analisi dell'essere umano, forse avrebbe dovuto condannarla per l'incapacità dell'autore di staccarsi dalle proprie paranoie, e, invece, proiettarle sul prossimo.
Per quanto mi riguarda, un film brutto, avvilito e avvilente, fatto da persone che si nutrono di (e quindi nutrono) mostri, con fantasie malate e perverse, troppo accecati da sè perfino per vivere: ci si sente inutilmente appesantiti e tartassati, dopo la visione di una simile sconceria. Per non parlare delle esagerazioni grottesche che rendono francamente impossibile prendere sul serio anche le riflessioni più utili (ammesso che ce ne siano).
Non stupisce che il protagonista abbia fatto la fine dei suoi personaggi...
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