Regia di Philippe Garrel vedi scheda film
Il ritratto di un soggetto inesistente. Il dietro le quinte di uno spettacolo che non è mai andato in scena. Un qualcosa che non c’è, eppure riesce a costruirsi intorno una drammatica storia, piena di sussurri e lacrime. Questo qualcosa è l’amore. Quello tra François e Carole, che si è fatto appena intravedere, tra un addio e l’altro. E quello tra François ed Eve, che si nutre esclusivamente di promesse, ed è un sogno che inizia a sgretolarsi nel momento stesso in cui si affaccia all’orizzonte. L’amore è un oggetto invisibile e sfuggente, eppure solido e ingombrante, che non riesce a stare dentro al cuore di nessuno di questi personaggi, troppo attaccati ai propri dolori, alle proprie gioie, alle proprie paure. François è distratto, assente e sempre insicuro, Carole è instabile, inquieta e persino folle, Eve è fragile, ingenua ed eccessivamente semplice. E in mezzo a loro, quella presenza intangibile è la lente deformante attraverso cui essi si guardano da lontano, senza capirsi: è un cristallo che rifrange i loro rispettivi desideri, impedendo a questi ultimi di incontrarsi. I tre protagonisti si muovono, attoniti, intorno a quello che sembra uno spazio vuoto: una zona d’aria in cui circolano versi di poesie e frasi di canzoni, e i cui contorni descrivono la forma immaginaria della felicità. Il suo contenuto è un ideale che ognuno concepisce in modo diverso, e che, nella mente, conferisce al futuro l’aspetto, etereo ed inquietante, di un’enorme bolla di sapone, coperta di cangianti iridescenze: i suoi colori sono trasgressivi per Carole, convenzionali per Eve, indefiniti per François. Per lui, in particolare, la visione è troppo trasparente per non sembrare un fantasma, che lo chiama fuori dalla concretezza del mondo, attirandolo verso una dimensione superiore, sicuramente sconosciuta, però fatta di eternità e di certezze. Origine del suo tormento esistenziale è il dubbio che la verità appartenga ad un altro universo, in cui le anime riescono a comunicare direttamente, senza le interferenze prodotte dal caso, né i condizionamenti esercitati dalla società. Contrariamente a Eve, che pragmaticamente vede, nel domani, il logico proseguimento dell’oggi, François è perfettamente conscio di trovarsi al di qua di una linea oltre la quale si estende l’ignoto; questo confine è la frontiera dell’alba, il punto da cui inizia la vita, quella che impone di compiere scelte compromettenti, mettendo a disposizione innumerevoli possibilità, che potrebbero anche essere tutte sbagliate. Lo spettro che appare a François ha le sembianze di Carole, la sua amante suicida, che è l’emblematica personificazione di tutto ciò che è troppo bello e giusto per appartenere alla nostra banale realtà. In questa ossessione si materializza il terrore che la morte sia il marchio celeste impresso sulle cose perfette, a cui non è consentito mettere radici in questo modo, e che sono quindi necessariamente fugaci. Questo film rinnova il realismo della nouvelle vague, collocando l’obiettivo, anziché nel cuore dei fatti che accadono, in una posizione marginale che li precede col pensiero, e nella quale essi sono solo ipotesi o proiezioni, ossia embrioni di eventi, che nascono, in maniera spontanea, come vaghi riflessi del presente. Quest’idea giustifica appieno il carattere sfumato ed esitante della resa cinematografica, che volutamente trascura l’azione per soffermarsi sull’immagine, sulla trascrizione gestuale, verbale e mimica degli stati d’animo dei singoli individui. Quella che appare sullo schermo è la sovrapposizione, quasi sempre improvvisata ed inevitabilmente disarmonica, di tanti recital intimistici, che si incrociano senza mai entrare in sintonia. La disomogeneità è voluta, benché, a dire il vero, non sia sempre gestita con sufficiente decisione, e a tratti sfugga al controllo, dando origine, purtroppo, ad alcune cadute di stile. Tuttavia, questo acerbo lirismo, che intona le sue timide melodie restando sempre fermo sulla soglia, non può lasciare indifferenti; e la sua voce, poco a poco, si insinua, nella fantasia, col fascino, piccolo e diverso, di un’originale e struggente provocazione antiromantica.
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