Regia di Ari Folman vedi scheda film
I lupi inferociti che corrono, pronti per colpire. Annusano: non è quello che cercavano. Si arrestano dinanzi ad una finestra. Tutto rimanda ai ‘lupi’ di questi giorni, in guerra a Gaza, neanche poi per metafora. Il regista israeliano Ari Folman, con un linguaggio poetico affatto ermetista, ma denso di sangue e lacrime, racconta la vera esperienza di uomini che nel Libano hanno sognato la possibilità di una svolta. Per la maggior parte dei quali segnata per sempre dal suggello della morte. Per altri un tormento che ancora dura nei lancinanti ricordi. Valzer con Bashir è un film sull’atrocità della memoria dei morti e dei vivi. Sulla memoria collettiva.
Sono precisamente 26 le bestie dell’incredibile sequenza iniziale, le stesse uccise venticinque anni prima in Libano, e che tormentano le notti di un vecchio commilitone. La memoria del pianto e del dolore dei profughi palestinesi scampati al massacro di Sabra e Chatila, nel non lontano 1982, ad opera dei cristiani falangisti, sono la materia densissima affidata al ricordo reale, vissuto in prima persona dallo stesso regista, oltre che all’animazione di Yoni Goodman e al suono minimalista di Max Richter (premiato con l’EFA).
L’impatto visivo è decisamente impressionante, quanto le immagini reali di questi giorni diffuse dai media. La stessa idea del titolo, che per tutta la prima parte del film, non si riesce a collocare da nessuna parte, poi è assolutamente una grande sorpresa, oltre che una genialata da parte di chi ha scelto il titolo anche in italiano (una volta tanto!), perché il valzer rimanda all’esperienza realmente vissuta dal regista, allora diciannovenne, costretto a sparare ‘danzando’ in mezzo al fuoco incrociato e al cospetto di giganteschi manifesti con l’immagine dell’appena ucciso presidente cristiano, Bashir Gemayel. In tutto il film, dall’inizio alla fine, si respira molta disperazione.
L’anno scorso toccò a Persepolis di Marjane Satrapi ad entusiasmare il pubblico della Croisette, allo stesso modo di come quest’anno è toccato a quest’altro film di animazione, ma che inspiegabilmente non è riuscito a portarsi a casa nessun premio. Eppure bellezza ed originalità da vendere ce le ha tutte: dalla scelta del tratto grafico, lontanissimo rispetto a tutte le tecniche più in voga, questa unisce le tavole disegnate ed effetti digitali, mettendo in bella mostra lo spessore e la nettezza dei tratti, i chiaroscuri e i colori dal forte impatto emotivo, che si arricchiscono perché accompagnati dal commento musicale pop e post-punk di inizio anni Ottanta. Tutto amalgamato dalla poeticità propria della cultura del nostro tempo, ancora fortemente nichilista e ossessivamente legata all’onirico e a tutto ciò che avrebbe l’esigenza di essere focalizzato e analizzato da analisti che vadano oltre la psicanalisi di freudiana memoria. Non si tratta neanche di interpretazione di sogni, o semmai, nel film Folman ne rimanda continuamente uno, fortemente politico, inteso alla maniera di chi interpreta i sogni, senza distinzione di razza, cultura e religione, per il raggiungimento di quel grande sogno che ancora si distingue per la sua utopisticità: la pace. Senza ma e senza però, ma solo a ritmo di danza. Meglio s’è un valzer a due, senza l’arma come compagna ballerina.
Giancarlo Visitilli
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