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Racconto di Natale

Regia di Arnaud Desplechin vedi scheda film

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La recensione su Racconto di Natale

di Decks
7 stelle

Natale è sempre sinonimo di festività e riunioni familiari, ma non sempre l'apparenza è quello che sembra; il ritrovo della famiglia Vuillard ne è un perfetto esempio: ritrovatisi tutti assieme più per necessità anziché per bontà natalizia, fradici di liquori e risentimento.

Presentato al festival di Cannes nel 2008, il regista Desplechin porta sul grande schermo la sua visione di Noël.

 

Di sicuro essa è una delle opere più ambiziose del regista, ma anche molto interessante. Già dall'inizio l'uso della tecnica delle ombre cinesi (primo emblema della settima arte) simboleggia il voler mettersi in gioco di Desplechin e ci narra le vicende di una famiglia francese, stravolta da tragici eventi; quest'ultimi verranno nascosti nella noncuranza e nell'oblio, ma le passate cicatrici resteranno perennemente impresse nella memoria dell'intera parentela, ritornando a galla sotto specifici comportamenti.

In questo ci aiuta molto la perfetta fotografia di Éric Gautier, non a caso molto richiesto nel cinema d'oltralpe: egli dimostra una maestria unica nel creare un'ottima amalgamia tra chiari e scuri, creando un'atmosfera di artificiosa senerità grazie all'uso di colori caldi, candidi e avvolgenti tipici del clima del natale; vige una calma innaturale che precede una tempesta, non di neve ma di pensieri, che vengono a galla solamente nel buio della dimora, dove amori mai rivelati, malattie mentali e odio appaiono più luminosi di qualsiasi festone o addobbo.

Desplechin dirige con leggerezza, soffermandosi più sulle prestazioni corali, anziché le tecniche della cinepresa, facendo risultare la sua opera più come una piece teatrale che altro. Al suo soggetto estremamente drammatico, decide di non lasciare tracce di buoni sentimentalismi o toni patetici; tutto viene filtrato in un'ottica spesso ironica, sdrammatizzato continuamente e assente di scene strappalacrime spesso utilizzate in questo genere di film; persino il finale di riconciliazione non possiede una scena madre dalle musiche vittoriose, ma sottili allusioni, dando alla pellicola un suo stile unico e realistico.

Ad accompagnarci nella vicenda c'è la scelta di un cast grandioso, dove su tutti svettano Catherine Deneuve e Mathieu Amalric: la prima nei panni di una matriarca familiare preoccupata più dalla sofferenza che dalla morte; ella si muove con grazia e con quella finta senerità a cui il regista ci ha abituato, dando un tocco di classe alla sua drammatica controparte. Il secondo con un personaggio scritto ottimamente, grazie alla versatilità dell'attore, conferisce un'immagine molto sfaccettata ad un figlio nato per tentare (inutilmente) di salvare il primogenito; perennemente assente dall'amore dei consanguinei e condannato all'esilio dal nucleo familiare. Il suo reinserimento sarà un vero e tormentato sacrificio, attraverso un percorso non solo medico, ma di autoanalisi.

 

Purtroppo a questa storia principale, Desplechin decide di aggiungervi numerose sottotrame. Fortunatamente non compie l'errore di ridurle a storielle sbrigative e sconclusionate, ma purtroppo sono comunque assenti dalla potenza e dall'interesse che ha la trama primaria.

Il regista aggiunge almeno quattro intrecci, aventi i loro specifici personaggi; con una materia narrativa così variegata, ma soprattutto complessa, lo spettatore finisce per perdersi e rimanere spaesato, assistendo a diversi e continui siparietti che spesso si dilungano eccessivamente. Il regista si lascia ghermire da storie (quali quella del triangolo amoroso Silvia-Ivan-Simon) che lentamente fanno perdere mordente all'intera opera, con un calo di ritmo e coinvolgimento vertiginoso.

A causa di questa scelta ne risente persino il montaggio, che oltre ad essere estremamente ampio è esageratamente articolato, non andando di pari passo con la leggerezza che si respira nella pellicola, ma anzi, sballottando lo spettatore tra una storia e l'altra rendendogli complicato tenere il filo logico di ogni sottotrama.

Anche il sonoro non eccelle particolarmente: musiche semplici, già sentite, appena accettabili, non certo il punto di forza della pellicola; similmente al teatro, tutto viene lasciato in mano agli attori, tenendo l'accompagnamento musicale alla larga o appena accennato durante alcune vicende della trama.

 

Dalla Francia arriva una commedia dolce-amara che vuole dire troppo, affrontando eccessivi argomenti. Ci si accorge, una volta arrivati al suo finale, che a teatro avrebbe fatto una figura migliore anziché nei cinema.

Tuttavia contiene un cast di attori superbi, impeccabilmente sincronizzati, che riescono a districarsi dalle caotiche sottotrame dando un interpretazione unica e indimenticabile (persino i secondari), sceneggiature indispensabili e mai noiose e dei temi ragionati che risaltano il film.

Un gruppo di famiglia riunito sotto lo stesso tetto, dove la malata è Junon, ma tutti sono affetti da odio e rancore a cui nulla serve il velo, apparentemente immacolato, di neve per nascondere i propri sentimenti.

 

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